Pensioni: così lo Stato ne ha abbassato l’importo

Antonio Cosenza

13/04/2021

02/12/2022 - 11:00

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In più di un’occasione lo Stato è intervenuto sulle pensioni per fare cassa: questo ne ha comportato una riduzione dell’importo, specialmente per i redditi medio-alti.

Pensioni: così lo Stato ne ha abbassato l’importo

Negli ultimi anni i Governi - indipendentemente dal “colore” politico - hanno scelto le pensioni per “fare cassa”: i “prelievi” da parte dello Stato sono stati diversi, e andare in pensione oggi è diventato molto meno conveniente rispetto a qualche anno fa.

Sono diverse le occasioni in cui lo Stato ha scelto di prelevare dei soldi dalle tasche dei pensionati: una delle più importanti è certamente la riforma Dini, con la quale sono stati modificati i criteri per il calcolo degli assegni. E ancora, la riforma Fornero che ha stabilito che ogni due anni i coefficienti di trasformazione vengano adeguati alle speranze di vita, penalizzando coloro che scelgono di anticipare l’uscita dal lavoro (indipendentemente dalla motivazione). Ma non è tutto: tra i più penalizzati ci sono sicuramente i pensionati con gli assegni più alti, i quali hanno dovuto fare i conti con il blocco della rivalutazione e - peggio ancora - con il taglio delle cosiddette “pensioni d’oro”.

A tutto questo si aggiunge una tassazione che per le pensioni è persino più sfavorevole che per i lavoratori dipendenti, poiché quest’ultimi possono almeno beneficiare delle detrazioni riconosciute con il taglio al cuneo fiscale.

Detto questo, vediamo nel dettaglio quali sono tutti i “prelievi” che oggi vengono effettuati sulle pensioni contribuendo a rendere gli assegni meno alti di quanto dovrebbero.

Pensioni: quanto si perde a causa del blocco della rivalutazione

Una delle occasioni in cui lo Stato ha dimostrato chiaramente di voler far cassa sulle pensioni riguarda il “blocco” della rivalutazione dell’assegno. Secondo la normativa, infatti, ogni anno gli assegni di pensione dovrebbero adeguarsi alla variazione dell’indice dei prezzi.

Grazie al cosiddetto meccanismo di perequazione, le pensioni non perdono potere di acquisto con il passare degli anni. Il Governo ha tuttavia messo su un sistema tanto più penalizzante quanto più è elevato l’assegno del pensionato: viene stabilito, infatti, che la rivalutazione piena vi è solo per coloro che hanno una pensione inferiore a 4 volte il trattamento minimo. Sopra a questa soglia si scende al 77% per gli importi 4 e 5 volte il trattamento minimo, del 52% tra 5 volte e 6 volte il minimo, del 47% oltre 6 volte, del 45 oltre 8 volte e solo del 40% oltre 9 volte il minimo.

Questo sistema è molto più penalizzante rispetto a quello che fu riconosciuto originariamente dalla legge (e che potrebbe tornare in vigore dal 1° gennaio prossimo a meno che non ci sarà un nuovo “blocco” del Governo); questo, infatti, prevedeva una rivalutazione piena fino a quattro volte il trattamento minimo, del 90% per la quota tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo e del 75% sopra le 5 volte il minimo.

Tra i due sistemi c’è una netta differenza: secondo le stime effettuate dai sindacati, infatti, il blocco della rivalutazione ha comportato una perdita media di 1.000 euro l’anno, penalizzando - ovviamente - le pensioni di importo medio-alto.

Prelievo per le pensioni d’oro: il contributo di solidarietà

Maggiori perdite le subiscono le pensioni di importo annuo superiore a 100.000,00 euro. Queste, oltre a pagare per il blocco della rivalutazione, sono anche soggetta al prelievo “forzoso” del contributo di solidarietà, previsto dalla Legge di Bilancio 2019 e in vigore tre anni.

Con questo viene deciso che per la parte di pensione che supera i 100.000,00 euro vi è una trattenuta mensile che va dal 15% al 40% (al superamento dei 500.000,00 euro annui).

Pensioni: la “penalizzazione” della Legge Fornero

Andando indietro negli anni, arriviamo al 2011, quando la riforma attuata dall’allora Ministro del Lavoro, Elsa Fornero, stravolse il sistema pensionistico italiano. Tra le novità più importanti l’adeguamento - previsto ogni due anni - del cosiddetto coefficiente di trasformazione (con il quale il montante contributivo si trasforma in pensione) con la variazione delle aspettative di vita.

Si tratta di un sistema che con il passare degli anni porterà ad avere assegni sempre più bassi a parità di contributi, incentivando le persone a posticipare l’uscita dal mercato del lavoro.

Pensioni: la “penalizzazione” del passaggio al sistema contributivo

È però il passaggio al sistema contributivo, attuato dalla Legge Dini dal 1° gennaio 1996, ad aver penalizzato maggiormente i pensionati. Oggi andare in pensione in anticipo non conviene, poiché bisogna accontentarsi di un assegno di importo più basso.

Basti pensare che la tanto acclamata Quota 100 - che ricordiamo non prevede altre penalizzazioni oltre a quelle già previste dal sistema - comporta una perdita media del 5,6% dell’assegno per ogni anno di anticipo, fino ad arrivare al 34,7% per chi accetta di andare in pensione a 62 anni.

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