Bizantinismi per partorire un governo più traballante del precedente. Cui prodest?

Mauro Bottarelli

20 Luglio 2022 - 16:51

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Come mai Draghi, dimessosi pur avendo una maggioranza sul DL Aiuti, ora pare accettare ricatti, veti e trattative da suk pur di non staccare la spina? La risposta potrebbe arrivare domani. Dalla Bce

Bizantinismi per partorire un governo più traballante del precedente. Cui prodest?

Una sola cosa è certa: qualcosa si è rotto. E non negli equilibri politici italiani, da tempo tenuti insieme con la colla del potere e del timore delle urne. Bensì a livello più alto. Talmente alto da far scendere in campo il Quirinale con un inedito e attivissimo ruolo di triangolazione continua fra i leader. Talmente alto, soprattutto, da costringere Mario Draghi a un evidente incoerenza di fondo. Perché quando si tiene un discorso come il suo al Senato, praticamente incentrato sul principio di dettare le condizioni e non accettare appunti da alcuno, un chiaro prendere o lasciare, poi non ci si presta al solito, estenuante mercato delle vacche parlamentare italiano.

Soprattutto, quando pochi giorni fa, pur forte di una maggioranza al Senato sul Decreto Aiuti, si aveva rivendicato a tal punto la propria adesione ferrea al mandato politico da recarsi al Quirinale a rassegnare comunque le dimissioni. Soprattutto, quando al quesito ultimativo mosso ai partiti di governo rispetto alla loro volontà o meno di accettare il nuovo corso che osi offriva loro con un governo-bis, la risposta era quella fornita dal capogruppo leghista, Massimiliano Romeo: praticamente, un pesce in faccia. E una sequela di diktat e condizioni. A quel punto, coerenza avrebbe voluto che il premier dimissionario-pentito facesse seguire alle parole, i fatti e salisse per l’ultima volta al Quirinale. Da dimissionario convinto. E davvero irrevocabile.

C’è qualcosa di strano e inquietante dietro al ritorno prepotente dei bizantinismi tipici della Prima Repubblica. E c’è qualcosa di ancor più grave che sottende il ruolo apparentemente centrale di Silvio Berlusconi nella mediazione fra Palazzo Chigi, Quirinale e Lega. Quasi un disperato risarcimento danni per la mancata elezione proprio a presidente della Repubblica. Quasi un’adulazione calcolata in base all’ego dell’interlocutore, al fine di ottenerne i servigi. Non si tratta di equilibri interni, però. Questo accanimento terapeutico ha più a che vedere con quanto, contemporaneamente, si sta decidendo a Francoforte che non a Roma. Domani, infatti, la Bce renderà note le sue scelte sia di politica monetaria, sia relative al ben più esiziale - per l’Italia - scudo anti-spread. E l’aria che tira non è di quelle favorevoli al nostro Paese. C’è puzza di trappolone. Fin troppo annunciato dalla contrarietà in tal senso e sbandierata ai quattro venti da Joachim Nagel.

Certo, nessuno lascerà esplodere un 2011 reloaded nel pieno del combinato di inflazione e guerra ma in molti sottolineano il carattere strategico di quella comunicazione riguardo un possibile aumento dei tassi di 50 e non 25 punti base. Solitamente, proprio per evitare scossoni, alcuni retroscena restano tacitamente tali fino alla pubblicazione delle minute, soprattutto quando si ha la certezza che resteranno a verbale come mera proposta. Se li si spiattella en plein air in anticipo, stante la delicatezza del momento, o davvero si sta riflettendo sulla misura shock in modalità Trichet error oppure qualcuno voleva inviare un segnale chiaro proprio al Paese che maggiormente necessita della Bce in questo momento. E che, plasticamente, pare essere tornato alle vecchie abitudini dei governi che non superano la prova dei due anni. E tendono a fregarsene della parola data.

Mario Draghi non è uomo che accetti facilmente la messa in discussione della primazia del suo ruolo. Quindi, quanto accaduto finora al Senato deve essergli costato un capitale in Maalox. E aver costretto il Quirinale a mettere in campo tutta la sua moral suasion. Comunque sia, qualcosa sta per accadere. Perché, al netto di tutto, un eventuale Draghi-bis avrebbe di fronte a sé un compito formalmente limitato a poche priorità politiche, già note, salvo poi traghettare ordinatamente il Paese verso il voto. Il discorso del presidente del Consiglio al Senato, invece, pareva destinato a tratteggiare i punti salienti di un esecutivo di legislatura. Troppa carne al fuoco, soprattutto per chi solo la scorsa settimana aveva salutato tutti, indispettito proprio da beghe e bizantinismi politici e percorso le poche centinaia di metri che portano al Colle più alto.

Attenzione al messaggio di domani della Bce. Potrebbe sorprendere. E spiegare in poche righe il perché di questa disperata ricerca di una quadra, nonostante lo sconfortante sfondo di macerie degno di Guernica e del genio visionario di Picasso della maggioranza che fu.

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