Nuova tassa per le Big pharma che hanno ottenuto profitto dalla pandemia? La proposta

Laura Pellegrini

02/04/2021

02/12/2022 - 15:00

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Il segretario generale della Uil ha proposto di inserire una tassa sulle Big pharma che hanno ottenuto profitto dalla crisi pandemica. Ecco come funziona e a chi è rivolta.

Nuova tassa per le Big pharma che hanno ottenuto profitto dalla pandemia? La proposta

Una tassa sulle Big pharma che hanno tratto profitto dall’emergenza sanitaria: l’idea, come ha spiegato il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, è quella di prevedere un prelievo maggiore sui surplus delle imprese per inseguire i concetti di “giustizia sociale” e di “efficacia del sistema economico”.

Se da un lato la crisi sanitaria ha portato alla chiusura di numerose attività produttive, dall’altro è andata a favorire quei settori legati all’industria farmaceutica, alla logistica e ai servizi. A fronte di profitti maggiori, quindi, è necessario prevedere una tassazione aggiuntiva.
Come funziona la nuova tassa sulle Big pharma proposta da Uil e a quali aziende potrebbe essere applicata.

Tassa sulle Big pharma: come funziona

La chiamano excess profit tax, cioè una tassa da applicare al surplus conseguito dalle aziende, in particolare dalle multinazionali, che hanno ottenuto grandi vantaggi dalla crisi pandemica.

Ma non si tratta di una novità: venne introdotta per la prima volta nel 1917 negli Stati Uniti dall’economista John Maynard Keynes. Seguendo il medesimo ragionamento, il segretario della Uil ha ricordato come la crisi pandemica abbia aumentato le disuguaglianze in modo non troppo diverso da come avvenuto in seguito alla prima guerra mondiale.

Mentre un gran numero di aziende ha sofferto la crisi ed è stato costretto alla chiusura, altre hanno aumentato i loro profitti e per questo potrebbero essere sottoposte a una tassazione aggiuntiva sul surplus ottenuto.
Il gettito fiscale derivante da questi prelievi potrebbe poi essere reinvestito per il rilancio delle attività e categorie lavorative più colpite dalla crisi.

Fiscalità d’impresa in Italia e in Europa: chi paga di più?

In uno studio condotto in collaborazione con l’istituto di ricerca europeo Eures, la Uil ha dichiarato come la fiscalità di impresa in Italia sia perfettamente in linea alla media europea, ma inferiore alle aliquote previste dagli altri Paesi industrializzati a livello europeo.

Basti pensare che l’aliquota italiana da applicare ai redditi conseguiti dalle aziende è pari al 27,8%, a fronte di una media europea leggermente inferiore (26,5%). In Francia, invece, la stessa aliquota è al 32%, mentre in Germania si attesta al 29,9%.

In Italia, inoltre, le aziende versano circa 139 miliardi di euro di tributi, ma con parecchie differenze tra le imprese di piccole e grandi dimensioni. Le piccole imprese con un fatturato entro i 500 mila euro (pari al 7,7% del totale) contribuiscono per il 18% agli introiti fiscali, mentre le grandi aziende con oltre 25 milioni di euro di fatturato (cioè il 60% del totale) contribuiscono per il 47,6%.

Ma il dato su cui si vuole attirare l’attenzione è che negli ultimi 25 anni la tassazione sulle imprese si è dimezzata (dal 53,2% al 27,8%). Soprattutto, però, ha spiegato Bombardieri, “abbiamo rilevato che il peso delle imposte sui redditi delle imprese, nel 2018, si è attestato ad appena il 4,5% del totale delle entrate nazionali fiscali e contributive. Ammonta invece al 25,6% il peso delle imposte sui redditi delle famiglie”.

Lo studio conclude affermando che “non tutte le imprese hanno avuto gli stessi contraccolpi dalla pandemia”, in quanto alcuni settori hanno potuto ottenere profitti maggiori. “Noi pensiamo, semplicemente - ha concluso il segretario della Uil - che un provvedimento del genere debba riguardare solo chi ha tratto ampio profitto dalla pandemia e, contestualmente, debba porsi l’obiettivo di favorire chi, invece, ne è rimasto travolto”.

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