La startup americana Spacecoin ha realizzato la prima transazione blockchain attraverso lo spazio, sfidando il dominio satellitare di Elon Musk con una rete decentralizzata.
Il regno satellitare di Elon Musk potrebbe avere trovato un avversario inatteso. La startup statunitense Spacecoin ha annunciato di aver portato a termine con successo un test che, secondo i suoi fondatori, rappresenta un punto di svolta nel settore delle telecomunicazioni satellitari. Per la prima volta, infatti, dati crittografati registrati su blockchain sono stati inviati dalla Terra, trasmessi attraverso un satellite in orbita e poi ricevuti a migliaia di chilometri di distanza senza passare dalla rete internet tradizionale.
Le informazioni hanno viaggiato dal Cile alle Azzorre, percorrendo oltre 7.000 chilometri nello spazio grazie a un microsatellite fornito dal partner europeo EnduroSat.
Per la giovane società americana si tratta di una dimostrazione di fattibilità che punta a presentarsi come alternativa a Starlink, il colosso di SpaceX che oggi domina il mercato con circa 8.000 satelliti già operativi.
“Per chi utilizza la rete significa che i pagamenti o le informazioni inviati non possono essere falsificati, modificati o intercettati da malintenzionati”, ha dichiarato il fondatore Tae Oh a Reuters, sottolineando la natura sicura e decentralizzata del progetto. Ma cos’altro sappiamo su Spacecoin e perché Musk dovrebbe guardarsi le spalle?
Chi è Spacecoin: la startup che sfida Starlink
Spacecoin non nasce come una tradizionale compagnia aerospaziale. Il suo DNA è quello delle tecnologie blockchain e delle criptovalute, da cui prende non a caso il nome. L’azienda è stata fondata negli Stati Uniti con l’obiettivo di creare una rete satellitare che non fosse controllata da un’unica entità centrale, ma aperta e partecipativa. In questo modello, chiunque può diventare parte del sistema, contribuendo alla sua infrastruttura e utilizzandola per effettuare transazioni e archiviare dati.
Se quindi Starlink garantisce connessione internet satellitare fornita da un operatore unico, Spacecoin promette un ecosistema decentralizzato in cui sviluppatori, compagnie, enti, istituzioni e persino governi locali possono interagire direttamente, senza intermediari.
“Ci rivolgiamo anche ai costruttori, come sviluppatori, compagnie di telecomunicazioni, ONG e partner infrastrutturali”, ha spiegato Tae Oh. Ed è proprio questa apertura a differenziare Spacecoin dal progetto di Musk, trasformando l’impresa in qualcosa di più simile a una rete collaborativa globale che a un servizio commerciale tradizionale.
Una nuova minaccia per Musk?
A prima vista, paragonare i due contendenti sembra quasi azzardato. Starlink ha già lanciato migliaia di satelliti, mentre Spacecoin ne possiede soltanto uno, messo in orbita a fine 2024 da un razzo della stessa SpaceX, con l’obiettivo di arrivare a quota quattro entro la fine dell’anno. Eppure la novità introdotta dalla startup non sta nei numeri, ma nella logica che la muove: quella di creare un’infrastruttura che non dipenda da reti terrestri e che non sia gestita in maniera verticale.
Il contesto gioca a favore dei nuovi arrivati. La domanda di connessioni via satellite, infatti, sta crescendo rapidamente, soprattutto in aree rurali o in Paesi in cui la rete internet è instabile, costosa o soggetta a censura. In queste condizioni, un sistema decentralizzato e resistente a controlli esterni può risultare particolarmente attraente per governi o istituzioni internazionali che, per motivi politici e strategici, non vogliono dipendere interamente da un’unica compagnia privata americana, o aree in cui la libertà di informazione è limitata e i governi esercitano un controllo stringente sulle comunicazioni digitali.
Sebbene quindi il percorso per diventare un serio concorrente di Starlink sia ancora lungo, la missione di Spacecoin dimostra come, anche in settori apparentemente impenetrabili, l’innovazione possa aprire nuovi spazi competitivi. E per Elon Musk, questo potrebbe significare dover guardare non solo ai grandi competitor tradizionali, ma anche a startup agili che puntano su tecnologie emergenti.
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