“Con i tagli a sanità e welfare della manovra Meloni rischio liste d’attesa più lunghe e boom di disoccupati”: l’intervista a Guerra (Pd-Art.1)

Giacomo Andreoli

29/11/2022

29/11/2022 - 13:37

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L’ex sottosegretaria all’Economia, Maria Cecilia Guerra (Pd-Art.1), commenta a Money.it la legge di Bilancio del governo Meloni, parlando di tagli “pericolosi” a sanità, giustizia e welfare.

“Con i tagli a sanità e welfare della manovra Meloni rischio liste d’attesa più lunghe e boom di disoccupati”: l’intervista a Guerra (Pd-Art.1)

Con la manovra del governo Meloni la spesa sanitaria si ridurrà e la qualità del servizio può calare, creando effetti pericolosi, come l’ulteriore allungamento delle liste d’attesa. I tagli lineari al Reddito di cittadinanza, con una norma scritta male, rischiano di creare solo migliaia di disoccupati”. A lanciare l’allarme a Money.it sui possibili effetti negativi della legge di Bilancio 2023 è Maria Cecilia Guerra, ex sottosegretaria all’Economia ed eletta alla Camera in quota Pd come esponente del movimento Articolo 1 dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza.

Secondo Guerra soprattutto la stretta al Reddito è un intervento “fatto in fretta per dare un segnale di propaganda, più che per affrontare un problema”. Con i tagli all’amministrazione penitenziaria e al budget per le intercettazioni, poi, denuncia che può “peggiorare la condizione delle carceri per detenuti e personale di guardia”, mentre “si rischia minore efficacia nelle indagini su reati pesanti”.

In manovra sono previsti 2 miliardi di euro in più per la sanità nel 2023, ma voi del centrosinistra parlate di tagli, perché?

Abbiamo un tasso di inflazione molto alto, che si riflette molto nella spesa sanitaria, a partire dagli acquisti. La destinazione dei fondi deve tener conto dell’andamento dei prezzi. L’intervento del governo destina 1,4 miliardi di euro contro il caro energia e qualche centinaio di milione per aumentare le indennità di alcuni lavoratori dopo il rinnovo contrattuale. Servivano almeno il doppio dei soldi per mantenere agli stessi livelli le prestazioni sanitarie. Con il Covid le liste di attesa si sono allungate molto (con buchi che l’assessore alla sanità del Lazio D’Amato quantifica addirittura in 3,8 miliardi di euro n.d.r.) e ora c’è il forte rischio che lo facciano ulteriormente. In termini reali la spesa sanitaria si ridurrà e la qualità del servizio ai cittadini può calare, con risparmi che possono entrare in contraddizione con le esigenze di cura. Qualcosa di molto pericoloso.

Di sicuro la spesa sanitaria scenderà nei prossimi anni rispetto al Pil, ma anche con il governo Draghi di cui facevate parte era prevista una riduzione in percentuale da qui al 2025.

Il sistema sanitario è la risorsa più grande del nostro Paese e con il ministro Roberto Speranza a partire dal governo Conte II abbiamo aumentato in maniera significativa le risorse a favore della sanità, con uno sforzo incredibile durante le prime ondate Covid e poi in sede di definizione del Pnrr. Abbiamo continuato anche nel governo Draghi, dove comunque c’era una maggioranza di unità nazionale e tante forze politiche diverse da mettere d’accordo. Ora bisognava fare uno sforzo in più, invece sembra che si torni indietro ai tagli.

Voi come proponete di rimediare?

Abbiamo presentato un disegno di legge finalizzato a mantenere il rapporto tra Pil e spesa sanitaria almeno invariato nei prossimi anni: un atto che serve a non ridurre la qualità dei servizi, che già hanno difficoltà. Speriamo che la maggioranza ascolti non noi, ma le necessità delle persone comuni che non si possono permettere la sanità privata, smettendo tra l’altro di inseguire un progetto di autonomia differenziata che spacca l’Italia, creando servizi di serie A e serie B.

In legge di Bilancio si tagliano anche 36 milioni in tre anni all’amministrazione penitenziaria: la situazione delle carceri è già pessima per detenuti e personale, può peggiorare ancora?

Sicuramente. Si tratterebbe di tagli non enormi, ma che danno un segnale davvero brutto. Questo taglio non è sostenuto da nessuna analisi di sostenibilità dei servizi che si vanno a tagliare. Non si possono fare tagli lineari laddove servirebbero invece più risorse. L’insufficienza dell’organico delle guardie penitenziarie è evidente e dei carcerati non ne parliamo, il dramma è sotto gli occhi di tutti. Ma spaventano anche i tagli alle intercettazioni.

Perché? In fondo qualcuno potrebbe dire: “si tratta ’solo’ di 1,5 milioni in meno”...

Si rischia minore efficacia nelle indagini, toccando uno strumento essenziale per le forze dell’ordine e la magistratura contro reati pesanti. Il problema non è la quantità del taglio in sé, che non è enorme, ma la linea di tendenza: in questi campi servirebbero più risorse e spese meglio, non meno.

Anche il taglio al Reddito di cittadinanza rischia di avere effetti negativi?

Abbiamo tanto ridicolizzato Luigi Di Maio quando diceva “abbiamo tagliato la povertà”, ma a me sembra che Giorgia Meloni dica “abbiamo cancellato la disoccupazione”. Davvero si pensa che basta dire: se non lavori ti tolgo il Reddito e non mangi, che magicamente si trova un’occupazione? Ci sono sacche di disoccupazione preoccupanti, concentrati nei giovani, nelle donne e nelle zone più disagiate del Paese. Ci sono problemi strutturali, che riguardano l’economia e il sociale, e quindi dobbiamo creare più opportunità e retribuite decisamente meglio. Non è intelligente togliere il Reddito a chi è povero, perché i requisiti per entrarvi questo prevedono, senza avere un’idea precisa di come sostituirlo e di come creare più posti di lavoro, soprattutto al Sud.

Insomma: rischiamo che tra le 300 e le 660mila persone che lo perderanno a settembre 2023, la maggior parte finirà disoccupata?

Sì e tra l’altro in un periodo che potrebbe non essere facile per la nostra economia. Avevamo impostato un programma, il Gol, legato al Pnrr, con una parte dedicata ai percettori del Reddito e c’era bisogno di qualche anno per vederne gli effetti. Ora invece si fa un taglio netto senza nemmeno definire bene chi è occupabile e chi no. Tra i percettori del Reddito ci sono anche persone che non hanno sufficienti livelli d’istruzione, che sono assenti dal mercato del lavoro da anni, che hanno disagi psichici o che frequentano tirocini e corsi universitari. Si rischia di lasciarli soli nella povertà assoluta.

Il governo, però, parla di corsi di formazione da far fare a tutti quelli che perderanno il sussidio, per renderli spendibili nel mondo del lavoro

La norma che riforma il Reddito di cittadinanza nell’ultima bozza di legge di Bilancio è scritta male: fatta in fretta per dare un segnale di propaganda più che per affrontare un problema. Le politiche attive del lavoro non significano seguire un corso di formazione a caso tra quelli organizzati dalle Regioni nei prossimi otto mesi: bisogna valutare le competenze della singola persona per capire se è immediatamente occupabile e qual è la formazione migliore per renderlo spendibile nel mondo del lavoro.

Sicuramente, però, c’era bisogno di recuperare risorse da qualche parte per coprire le spese ingenti contro inflazione e caro energia. Voi come avreste fatto?

I soldi innanzitutto vanno spesi bene: invece che togliere i soldi contro la povertà e darli a pochissime persone per andare in pensione (al massimo 50mila, probabilmente 20mila n.d.r.), senza nemmeno superare la legge Fornero, non era meglio aumentare il prelievo sugli extraprofitti e alzare in modo sostanzioso gli stipendi dei lavoratori? Nel 2024 butteremo via 800 milioni di euro per permettere ai lavoratori autonomi che guadagnano di più di pagare solo il 15% di tasse sull’aumento, ma perché? Dovevamo allargare la tassazione sugli extraprofitti, non solo delle società energetiche, ma anche di tutte le imprese che hanno guadagnato ingenti somme di denaro negli ultimi mesi. Con quei soldi si poteva aiutare davvero la classe medio-bassa che aveva urgenza di sostegno.

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