Licenziata e multata da Zara mentre era in malattia per la scoperta nel suo armadietto, ma i giudici le danno ragione.
Il licenziamento di una dipendente di Zara sta facendo scalpore in tutta Europa. Il caso è avvenuto in Spagna, in uno store della catena all’interno di un centro commerciale di Madrid, ma è una storia che interessa moltissimi lavoratori del settore.
Non c’è da stupirsi considerando la popolarità del marchio di abbigliamento e le insolite circostanze del licenziamento, che ha portato alla lavoratrice anche una maxi-multa, per quanto il tribunale le abbia dato in seguito ragione. Tutto comincia da un’amara scoperta nel suo armadietto, aperto dal direttore del negozio mentre la donna era in congedo per malattia, senza peraltro comunicarglielo.
La merce del negozio trovata all’interno e l’impossibilità di provarne l’acquisto hanno condotto rapidamente alla cessazione del rapporto di lavoro, insieme all’addebito del costo dei prodotti e all’applicazione di sanzioni contrattuali. Contro ogni aspettativa, i giudici hanno accolto il ricorso della donna, che ha ottenuto anche un sostanzioso risarcimento. Un esito insolito soprattutto se si fa un confronto con il diritto italiano, che nonostante la grande tutela dei lavoratori dipendenti, avrebbe molto probabilmente condotto a conclusioni diverse.
Ovviamente, non si conoscono i dettagli specifici della vicenda dal lato processuale, ma in base a quanto riportato dai media spagnoli è possibile trarre qualche conclusione. Ecco cos’è successo (e cosa sarebbe successo in Italia).
Il tribunale ordina il risarcimento della dipendente
F. (così la protagonista di questa storia viene identificata dalle testate spagnole) è stata in malattia da settembre 2023 a febbraio 2024, dopo anni di servizio presso il punto vendita madrileno. In questo stesso periodo il negozio ha ospitato dei lavori di ristrutturazione che hanno richiesto alcuni spostamenti, compreso il trasferimento dei beni personali dei dipendenti dagli armadietti. All’apertura dell’armadietto di F., in presenza del direttore del negozio con il proprio assistente, del direttore del cantiere e dal rappresentante dei lavori, sono stati rinvenuti cinque prodotti del marchio Zara con annessa etichetta.
Gli articoli sono stati spostati in nuovo armadietto, in attesa che la dipendente fornisse una prova d’acquisto valida. Così non è stato e soprattutto un paio di scarpe presenti nell’armadietto risultava mancante dall’inventario, pertanto la donna è stata licenziata con effetto immediato a marzo 2024. La dipendente ha però impugnato il licenziamento e ottenuto una sentenza in proprio favore anche presso la Corte superiore di giustizia di Madrid.
I giudici hanno obbligato l’azienda al risarcimento di 90.742,72 euro (in alternativa al reintegro con pagamento degli stipendi arretrati per 126,03 euro al giorno), oltre a 7.501 euro per danni morali e 800 euro di spese legali. Il tribunale ha ritenuto illegittimo il licenziamento, affermando che la privacy e i diritti fondamentali della lavoratrice fossero stati violati con l’apertura dell’armadietto personale.
Non soltanto (ed è questo probabilmente che ha portato a conclusioni tanto dure), è stata messa in discussione la validità dei documenti di inventario e dei sistemi elettronici per il tracciamento delle vendite. Parte della merce era inoltre stata acquistata regolarmente, con acquisti documentati e pagati con carta di credito.
Cosa sarebbe accaduto in Italia
Non si può dire nulla sulla merce di cui la lavoratrice ha potuto documentare l’acquisto, mentre per gli articoli mancanti all’inventario (le scarpe nel caso specifico) l’illecito è evidente, peraltro anche perseguibile penalmente. Non sappiamo perché il tribunale spagnolo ha ritenuto che la documentazione sulle vendite fornita dal negozio fosse insufficiente, ma è chiaro che se ciò viene provato, in assenza di altre circostanze sospette, si presume la buona fede del lavoratore, anche in Italia.
Difficile, però, che un giudice italiano si esprima in modo così severo contro l’apertura degli armadietti, legittimata anche dalla sentenza n. 5314/2017 della Corte di Cassazione. Il datore di lavoro può controllarli, se ha sospetti giustificati, purché rispettando la dignità del dipendente e con discrezione. Non soltanto, è lecito anche perquisire zaini, borse e similari se il dipendente non si oppone (potendo però sanzionarlo).
Si tratta di una semplificazione, ma comunque il controllo degli armadietti sarebbe lecito e il ritrovamento di merce rubata o illecita potrebbe ben giustificare (almeno) un licenziamento per giusta causa. Spetta al dipendente fornire prova che gli articoli sono stati acquistati legittimamente, con tutti i mezzi a disposizione.
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