Quando spetta il reintegro dopo il licenziamento

Claudio Garau

29 Dicembre 2021 - 16:38

condividi

Rispetto al passato, quella del reintegro dopo il licenziamento non è più la regola generale. In quali casi pratici sussiste il diritto ad essere riammessi sul posto di lavoro?

Quando spetta il reintegro dopo il licenziamento

Il reintegro rappresenta la più efficace forma di tutela predisposta dalla legge, a favore del lavoratore licenziato in maniera illegittima. In estrema sintesi, essa consiste nel dovere, gravante sull’azienda o datore di lavoro, di riammettere il dipendente nello stesso posto che occupava prima del licenziamento, avvenuto però senza un fondamento nelle norme di legge.

Di seguito intendiamo vedere da vicino proprio questa garanzia nei confronti del lavoratore subordinato. Vogliamo infatti indicare quando, in base al sistema normativo attuale, ha luogo la restituzione del posto al dipendente, in caso di licenziamento ingiusto. E, come vedremo, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si rivela essenziale per meglio comprendere lo scenario. Tutto ciò ovviamente al fine di contribuire a sgomberare il campo da ogni possibile dubbio e fare chiarezza sui casi di reintegro dopo il licenziamento.

Reintegro dopo il licenziamento: il contesto di riferimento

La reintegrazione o reintegro dopo il licenziamento è una particolare forma di tutela del dipendente, che è stata inclusa nel nostro ordinamento da parte di quanto indicato nell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, il ben noto Statuto dei Lavoratori. Fino al 2012, era valevole per tutti i casi di licenziamento illegittimo che coinvolgevano lavoratori assunti presso datori di lavoro, imprenditori o non imprenditori, che oltrepassavano particolari limiti dimensionali dell’attività.

Negli anni passati, sono intervenute significative novità a livello normativo, con le quali di fatto sono diminuite le ipotesi nelle quali il magistrato può imporre all’azienda o datore di lavoro di effettuare il reintegro del lavoratore subordinato, che sia stato licenziato in modo illegittimo. Ci riferiamo in particolare alla riforma del mercato del lavoro, varata nel 2012. La legge n. 92 di quell’anno ha inciso sul testo dell’art. 18 del citato Statuto e ha modificato in modo rilevante il sistema di tutela previsto dalla legge.

Prima dell’entrata in vigore di questa legge, il principio di stabilità del rapporto di lavoro era protetto in ogni caso. Dopo la citata riforma, le regole hanno previsto un sistema di tutele distinto in vari regimi, in base alla gravità del vizio che di fatto rende il licenziamento non conforme alla legge. In particolare, non sempre scatta la reintegra del lavoratore, intesa come sanzione verso il datore di lavoro. Ecco perché si può affermare che la riforma in oggetto abbia inciso non poco sulla portata dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Non solo. Le garanzie accordate al lavoratore dalla legge, nei casi di licenziamento ingiusto, sono state ulteriormente ristrette, a seguito dell’entrata in vigore del noto d. lgs. n. 23 del 2015, recante la disciplina del cd. contratto di lavoro a tutele crescenti. Detto provvedimento ha la funziona di attuare quanto indicato nella legge n. 183 del 2014, di delega al Governo. A seguito di queste nuove norme, è stato predisposto un nuovo regime sanzionatorio per i casi di licenziamento illegittimo da parte del datore di lavoro. Esso riguarda tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro dipendente e a tempo determinato a partire dalla data di entrata in vigore del decreto - ossia il 7 marzo 2015. Da rimarcare che il regime sottolinea che il pagamento di un’indennità risarcitoria rappresenta la sanzione principale applicabile, nelle circostanze di licenziamento illegittimo. In sostanza, il provvedimento limita ulteriormente le ipotesi di reintegro dopo il licenziamento ingiusto.

Reintegro dopo il licenziamento illegittimo: in quali casi?

Lo abbiamo accennato sopra: in passato, quando un lavoratore subordinato era licenziato ingiustamente, l’azienda o datore di lavoro era tenuta a riammetterlo in azienda, di fatto riassegnando lo stesso posto di lavoro che aveva prima del licenziamento illegittimo e mancante dei presupposti di legge. Il licenziamento illegittimo doveva essere caratterizzato dalla mancanza della giusta causa, del giustificato motivo soggettivo o del giustificato motivo oggettivo. Di fatto, non si verificava una nuova assunzione, con un distinto rapporto di lavoro. Era invece la continuazione del rapporto precedente che, dunque, riprendeva come se non si fosse mai interrotto.

Oggi la regola di garanzia del passato è divenuta eccezione e la reintegra vale soltanto solo in casi particolari. Molto utili sono stati finora i contributi della giurisprudenza, ed in particolare quella della Corte di Cassazione. Essi ci aiutano a fare chiarezza sui casi pratici e a capire quando spetta il reintegro dopo il licenziamento e quando invece solo il risarcimento danni.

Ecco ora i casi di licenziamento illegittimo, per i quali spetta la reintegra.

Licenziamento con connotati di discriminazione

Rileva anzitutto il licenziamento di tipo discriminatorio. I casi pratici implicano l’allontanamento dall’azienda o luogo di lavoro per motivi di razza o di credo religioso, per orientamento politico o sessuale.

Non solo: come opportunamente osservato in giurisprudenza, è da ritenersi discriminatorio il licenziamento deciso contro la lavoratrice subordinata, che non aderisce alle avance del datore di lavoro.

Licenziamento in forma orale o verbale

Non bisogna mai dimenticare che per licenziare un lavoratore subordinato in modo conforme alle norme vigenti, occorre predisporre un atto scritto che lo menzioni. Non serve per forza una raccomandata, anche se - come è ben noto - si tratta di una comunicazione che dà la prova certa del ricevimento. In altre parole, non è sufficiente dire a voce al dipendente che da domani non potrà più lavorare in azienda: serve un documento scritto.

Dando un’occhiata alla giurisprudenza della Suprema Corte, possiamo notare che questo giudice ha considerato valida anche la comune email se il dipendente prova di averla letta. Pensiamo ad es. al caso in cui l’abbia inoltrata ad un collega. Nei casi pratici affrontati dai magistrati, è stato ritenuto tale da dare luogo ad un licenziamento legittimo, anche il messaggio su Whatsapp, il servizio di messaggistica istantanea tramite collegamento internet, diffuso il tutto il mondo.

Licenziamento a causa di matrimonio

In base alle norme vigenti, in nessun caso può essere disposto legittimamente il licenziamento, laddove esso avvenga in ’reazione’ al matrimonio del lavoratore o lavoratrice dipendente. In particolare, non si può mandare via il dipendente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa.

Licenziamento a causa di maternità

Il reintegro dopo il licenziamento spetta anche laddove l’azienda o datore di lavoro dispongano il licenziamento per il fatto della maternità. Ogni volta che una donna incinta o che ha appena partorito, viene licenziata, ha diritto ad essere riammessa sul posto di lavoro. Il licenziamento è dunque illegittimo e nullo.

Ci si riferisce ai casi di licenziamento nei quali:

  • è coinvolta la dipendente madre dall’inizio della gravidanza e fino al compimento di un anno di età del figlio:
  • il padre lavoratore fruisce del cd. congedo di paternità, per tutta la durata del congedo in oggetto e fino al compimento di un anno di età del figlio;
  • vi è domanda o fruizione dell’astensione facoltativa e del congedo per malattia del figlio, da parte della dipendente o del dipendente.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo se il fatto non sussiste

Come ben definito dall’autorevole giurisprudenza della Corte Costituzionale in una sentenza del 24 febbraio di quest’anno, innanzi all’insussistenza del fatto contestato al lavoratore (qui il licenziamento economico), si applica lo stesso meccanismo che vale per il licenziamento disciplinare: scatta il reintegro dopo il licenziamento ingiusto.

Licenziamento per motivo disciplinare ma il fatto non sussiste

Detta ipotesi alla base del reintegro dopo il licenziamento, emerge laddove il dipendente sia licenziato per una condotta che non ha mai compiuto e perciò viene incolpato senza alcuna ragione. In buona sostanza, se nel giudizio che segue l’impugnazione del licenziamento, è provata l’insussistenza del fatto contestato al dipendente, il magistrato riterrà ingiusto il licenziamento, imponendo il reintegro al datore di lavoro.

Per concludere, accenniamo al fatto che il risarcimento del danno, al posto della reintegra sul posto di lavoro, è stabilito sulla scorta di una serie di fattori indicati dalla Consulta, tra cui l’anzianità di servizio. Esso scatta in tutti le altre e differenti ipotesi di licenziamento illegittimo, che non fanno scattare la reintegra. Onde indicare quali sono questi casi, molto utile è la giurisprudenza della Cassazione.

Grazie ad essa è stato possibile, ad esempio, evidenziare che il risarcimento - e non la reintegra - scatta quando il licenziamento è intimato per un comportamento effettivamente compiuto dal dipendente, ma valutato in maniera troppo severa. Caso tipico è quello del lavoratore che si assenta per qualche ora dal posto di lavoro senza conseguenze negative per l’azienda e, per questo, subisce il licenziamento invece di un’altra e meno pesante sanzione.

Iscriviti a Money.it