Licenziamenti, ufficiale l’addio al rito Fornero: cosa cambia da marzo 2023

Simone Micocci

02/03/2023

02/03/2023 - 13:35

condividi

Licenziamenti, dal 1° marzo dimezzati i termini per le controversie d’impugnazioni: dovrebbe essere più semplice e veloce ottenere il reintegro sul posto di lavoro.

Licenziamenti, ufficiale l’addio al rito Fornero: cosa cambia da marzo 2023

La riforma Cartabia introduce novità procedurali in tema di licenziamenti. Nel dettaglio, viene eliminato il cosiddetto rito Fornero a vantaggio di una procedura che punta a velocizzare e semplificare la risoluzione delle controversie riferite all’impugnamento del licenziamento con il quale si chiede il reintegro sul posto di lavoro.

Così come fatto per separazioni e divorzi, per i quali viene introdotta la possibilità del rito unico, anche per i licenziamenti il procedimento viene semplificato così da ridurne i termini fino alla metà. A tal proposito, facciamo chiarezza su cosa è cambiato con l’entrata in vigore della riforma del processo civile concentrandoci sulle novità in tema di licenziamento.

Cos’era il rito Fornero

Solitamente è conosciuta la legge Fornero sul fronte pensioni, della quale tra l’altro il governo Meloni sta valutando la cancellazione; pochi ricordano che il governo Monti ha provveduto anche a introdurre novità in altri ambiti, quale appunto il rito Fornero per il licenziamento.

Disciplinato dalla legge n. 92 del 2012 - precisamente all’articolo 1, commi 47, 69 - con l’obiettivo di velocizzare la risoluzione di controversie in cui sono in gioco diritti fondamentali, quale appunto il diritto alla conservazione del posto di lavoro, non ha però raggiunto i risultati sperati.

Nonostante le buone intenzioni, il rito Fornero ha dimostrato di avere diverse problematiche che gli hanno impedito il raggiungimento degli obiettivi, quali:

  • poteva essere applicato solamente ai licenziamenti disciplinati dal famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e solamente qualora la domanda riguardasse esclusivamente la legittimità del licenziamento;
  • il procedimento prevedeva comunque due fasi, entrambe davanti allo stesso giudice del Lavoro. Nonostante la seconda fosse eventuale, nei fatti è stata sempre esercitata, allungando così il procedimento.

Di fatto, anziché snellire ha contribuito ad appesantire la procedura, anche perché - come visto al primo punto - non era consentito discutere di altri argomenti differenti dalla legittimità del licenziamento, seppur correlati come potevano essere l’inadeguatezza dello stipendio in base alle mansioni svolte o il mancato rispetto delle norme sull’orario di lavoro. Quindi, laddove si volesse discutere anche di questi argomenti bisognava aprire una seconda controversia, anch’essa davanti al giudice del Lavoro. Si arrivava così al paradosso che per una singola impugnazione di licenziamento ci fossero tre diversi procedimenti: i due previsti dal rito Fornero più un terzo riferito alle altre violazioni di diritti.

Cosa cambia dal 1° marzo 2023

Con la riforma del processo civile prevista dalla riforma Cartabia (D.lgs. n. 149/2022, art. 3, comma 32) si interviene sul rito Fornero abrogandolo e sostituendolo da una nuova procedura che questa volta sì dovrebbe servire a snellire le fasi che succedono alla richiesta d’impugnazione del licenziamento.

Intanto vengono estesi i margini d’intervento: quello che potremmo ridefinite come “rito Cartabia”, infatti, si applica a tutte quelle controversie dove con l’impugnazione del licenziamento si chiede il reintegro sul posto di lavoro, anche per le questioni a esso correlate (come appunto la misura dello stipendio, o il mancato riconoscimento delle ferie).

Inoltre, a questo tipo di richieste viene dato carattere prioritario, una ragione d’urgenza che invita quindi il giudice - a cui viene assegnata ampia discrezionalità - a esprimere un giudizio il più velocemente possibile. Contraendo e accorpando fasi e riducendo i tempi del normale processo, al giudice viene così data la possibilità di dimezzare i termini per le controversie in tema di licenziamento.

Sarà comunque discrezione del giudice valutare se esistono gli estremi per comprimere le varie fasi ed eventualmente decidere la misura di contrazione dei termini, fermo restando che al massimo le tempistiche possono essere dimezzate.

Il giudice dovrà quindi dettare i tempi del processo, con il vincolo però che tra la data di notificazione del ricorso e la prima udienza di discussione devono essere trascorsi almeno 20 giorni. In fase di udienza, però, il giudice potrà comunque disporre la trattazione congiunta delle varie domande presentate con l’impugnamento del licenziamento, concentrandone così fase istruttoria e decisoria.

Iscriviti a Money.it

SONDAGGIO