Russia, grave crisi in corso. Persi 15 miliardi, possibili rivolte

Luna Luciano

3 Agosto 2025 - 12:45

Il carbone russo è in caduta libera: miniere chiuse, stipendi mancati e lavoratori esasperati. Perdite da 15 miliardi e rischio instabilità. Mosca ha perso il controllo?

Russia, grave crisi in corso. Persi 15 miliardi, possibili rivolte

Perdite record per la Russia: il settore carbonifero sta collassando su se stesso e i lavoratori sono stanchi di sopravvivere piuttosto che vivere serenamente la loro vita.

Miniere pericolose da cui fuoriesce metano, stipendi da fame e una produzione che supera la domanda sono solo alcuni dei fattori che stanno mettendo in ginocchio il settore in Russia. Un altro duro colpo per Mosca, dopo la decisione dell’India di interrompere l’importazione del petrolio russo.

La crisi non è solo economica: è sociale, politica e potenzialmente destabilizzante per intere regioni. Con oltre 1.200 miliardi di rubli di debito accumulato e perdite previste nel 2025 per circa 350 miliardi di rubli (oltre 4 miliardi di dollari), la situazione appare fuori controllo. Intere miniere chiudono, i lavoratori non vengono pagati e le proteste iniziano a serpeggiare, nonostante la repressione.

Nel cuore minerario del Paese, il Kuzbass, la tensione è palpabile. La popolazione locale denuncia condizioni di lavoro estreme, stipendi in ritardo e nessuna speranza concreta di riconversione o rilancio. I tentativi del Cremlino di contenere l’emorragia con misure tampone sembrano insufficienti. La sensazione, tra la polvere e il metano delle gallerie, è che nessuno abbia un vero piano. E la rabbia monta all’interno del Paese: ecco cosa sta accadendo in Russia e quali sono i rischi se il carbone è in caduta libera.

Carbone, è crisi nera per la Russia: licenziamenti e perdite per 15 miliardi

Il settore carbonifero russo è ufficialmente in crisi. Un tempo pilastro dell’economia nazionale, oggi rappresenta un peso morto per Mosca. Le cifre parlano chiaro: da gennaio a maggio 2025, le perdite ammontano già a 112 miliardi di rubli, e si prevede che entro fine anno raggiungeranno i 350 miliardi di rubli (4 miliardi di dollari). Il debito complessivo dell’industria supera i 1.200 miliardi, mentre gli investimenti sono in caduta libera: si prevede che non toccheranno nemmeno i 248 miliardi di rubli dell’anno precedente.

A peggiorare la situazione c’è la saturazione delle infrastrutture dell’Est, in particolare la Transiberiana e la linea Bajkal-Amur, che ha reso costoso e inefficiente il trasporto verso i nuovi mercati, come Cina e India. Con la domanda cinese in calo e le importazioni russe in discesa del -18% su base annua, anche il mercato asiatico si sta rivelando instabile. L’India, seconda destinazione del carbone russo, ha iniziato a rivedere i propri accordi, mentre la concorrenza globale spinge i prezzi al ribasso.

Non meno gravi sono le conseguenze delle sanzioni occidentali: le aziende minerarie russe non possono più accedere alle tecnologie europee e statunitensi, e si sono dovute adattare a macchinari cinesi spesso meno performanti, con conseguenti aumenti dei costi di produzione fino al +30%. I margini di guadagno sono stati annullati e la produttività è crollata.

Nel 2024, oltre la metà delle aziende carbonifere ha registrato perdite. Undici miniere hanno chiuso, e ben 27 imprese risultano vicine al collasso. Nel frattempo, la miniera Spiridonovskaya nel Kuzbass ha licenziato i suoi 900 lavoratori senza saldare 90 milioni di rubli di stipendi arretrati. A nulla sembrano servire gli interventi del governo, che si limitano a misure tampone: rinvii fiscali, sconti ferroviari e alcune nazionalizzazioni gestite da enti statali come VEB.RF. Ma nessuna strategia sembra esserci realmente.

Carbone, Mosca in ginocchio: quali sono i rischi

Le conseguenze della crisi del carbone non si fermano ai bilanci: l’impatto sociale rischia di destabilizzare intere regioni, soprattutto nel bacino del Kuzbass, dove la dipendenza dal carbone è totale. Con la chiusura delle miniere arrivano i licenziamenti di massa, i ritardi nei pagamenti e la rabbia di chi non riesce più a sfamare la propria famiglia.

I salari, già tra i più bassi del settore industriale, oscillano oggi tra i 20.000 e i 40.000 rubli al mese (circa 250–500 dollari). I ritardi nei pagamenti sono ormai frequenti e in alcune miniere si registrano scioperi spontanei. Ma chi protesta rischia grosso: a Inskaia, i minatori che hanno scioperato con uno sciopero della fame sono stati licenziati in blocco. In certi casi sono stati anche aperti procedimenti penali contro gli imprenditori, nel tentativo di contenere l’escalation.

A peggiorare la situazione, le autorità locali impongono alle aziende di operare in perdita pur di non licenziare, creando un circolo vizioso di debiti e inefficienze. La regione del Kuzbass ha un debito pubblico che supera i 100 miliardi di rubli, pari al 42% del bilancio locale, e per il 2025 è previsto un deficit di 22 miliardi. Per contenere i costi, sono già stati tagliati fondi ai servizi sociali.

Il rischio? Una rivolta sociale. Il malcontento cresce, soprattutto tra chi lavora in condizioni disumane e non vede prospettive future. Alcuni preferiscono arruolarsi e partire per il fronte: la paga è più alta e il rischio, paradossalmente, è simile a quello di chi lavora sottoterra. Intanto, le squadre di emergenza vengono sciolte, i soccorsi sono ridotti al minimo, e i progetti di riconversione arrancano.

A Mosca si comincia a discutere di chiusure pianificate delle miniere meno produttive, ma manca una visione a lungo termine. Anche gli istituti finanziari, come Sberbank, continuano a concedere prestiti con tassi esorbitanti, oltre il 22%, aggravando la situazione debitoria. Il presidente della VTB Bank, Andrey Kostin, è stato l’unico a rompere il silenzio, ammettendo che “produciamo troppo carbone” e che “le miniere inefficienti devono chiudere”.

Ma tra la popolazione locale la sensazione dominante è una sola: nessuno ha un vero piano per il futuro. E il tempo sta per scadere.

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