Quest’insegnante ha ottenuto un risarcimento da ben 85.000 euro dalla scuola, tutto per via delle dichiarazioni della preside durante un colloquio.
Qualche parola di troppo può costare cara, come ha imparato a proprie spese la St. Tola’s National School della contea di Westmeath. La scuola elementare irlandese ha dovuto infatti pagare un risarcimento da 85.000 euro a un’insegnante a causa delle dichiarazioni della preside. Un commento apparentemente innocente durante il colloquio di lavoro si è rivelato decisivo, costituendo un caso di discriminazione secondo la Commissione per le relazioni sul posto di lavoro (Wrc).
Quest’ultima ha ritenuto l’istituto scolastico colpevole di aver penalizzato l’insegnante poiché stava fruendo del congedo di maternità, stabilendo in favore della docente un sostanzioso risarcimento del danno. Il caso ha suscitato parecchio clamore, non soltanto perché tocca temi di comune importanza e grande delicatezza, ma anche - e soprattutto - perché il problema sembra essere iniziato da una frase della preside. Qualcuno teme infatti che il provvedimento sia stato troppo severo e che la preside possa subire ripercussioni per una semplice dichiarazione. I lavoratori e in particolare le lavoratrici, invece, vedono l’ennesimo caso di discriminazione della maternità, ritenendo il risarcimento un provvedimento equo e un forte segnale. Nessuno ha potuto stabilire le effettive intenzioni della preside, ma è stato chiaro l’effetto a catena generato, almeno secondo la Wrc.
Dalle dichiarazioni della preside a un risarcimento
L’insegnante protagonista di questa storia ha lavorato per la scuola elementare citata per circa due anni, dal 2022 all’agosto 2024, quando il contratto a tempo determinato è scaduto. Contestualmente, l’istituto scolastico ha organizzato dei colloqui interni al personale per selezionare gli insegnanti da confermare e sostanzialmente passare a un contratto a tempo indeterminato. Proprio in occasione della selezione, la docente si è vista rivolgere un augurio dalla preside, che si è congratulata per la nascita di sua figlia e l’ha invitata a godere appieno di tutto il tempo trascorso con lei.
Un dolce augurio che ha però informato tutto il corpo docente e la commissione per il ruolo della maternità dell’insegnante, la quale ha ricevuto un’email che non avrebbe continuato a lavorare per la scuola. Secondo l’insegnante questa decisione è seguita al commento della preside, che ha quindi accusato direttamente di discriminazione. Nel dettaglio, la docente ha spiegato di aver ricevuto un messaggio di congratulazioni dalla preside prima del colloquio, sostenendo che la dichiarazione fosse stata superflua.
La preside ha negato l’accusa, spiegando - con l’appoggio dell’istituto scolastico - che il colloquio era anche la prima occasione in cui vedeva di persona l’insegnante dopo il parto. Una tesi che non ha convinto del tutto l’interessata, secondo cui sarebbe stato più appropriato attendere un momento diverso e soprattutto più riservato. In ogni caso, non è stata accertata alcuna responsabilità diretta a carico della preside, che potrebbe aver fatto il suo annuncio con le migliori intenzioni immaginabili.
È però innegabile che la commissione sia stata così informata della maternità della candidata, un fattore che certo non obbliga all’assunzione a tempo indeterminato ma che non può neanche tradursi in un motivo di esclusione. Eppure, la posizione di lavoro è stata offerta a un altro candidato, pur apparendo meno preparato. Il comitato scolastico di valutazione non ha saputo spiegare ai giudici il motivo della propria decisione, soprattutto a fronte della maggiore esperienza professionale della docente esclusa. Così, l’insegnante ha ottenuto il riconoscimento per un risarcimento dei danni subiti, quantificati in circa 85.000 euro.
Perché la scuola ha dovuto risarcire
Come anticipato, assumere a tempo indeterminato una lavoratrice perché incinta o neomamma non è obbligatorio, così come non è dovuta in generale l’assunzione. Il datore di lavoro può scegliere il personale in base ai propri criteri di selezione, anche in base a preferenze personali e soggettive, ma non può discriminare i lavoratori. Secondo la legge, la discriminazione attiene soltanto a particolari caratteristiche dell’individuo, tra cui anche il sesso e la genitorialità.
Contrariamente a quanto si pensi, il datore di lavoro deve garantire un trattamento equo già nei processi di selezione, pertanto non può escludere una candidata madre in quanto tale, ma può preferire un altro lavoratore se più in linea con le esigenze aziendali. Circostanze che devono essere provate in caso di contestazioni, dovendo altrimenti pagare un risarcimento del danno, proprio come nella vicenda irlandese.
Non è facile ottenere tutela in queste situazioni, ma quando il confronto tra i profili professionali dei candidati porta a una scelta differente da quella operata dal datore è più semplice provare la violazione. Quanto detto riguarda la legge italiana, ma si applica in modo pressoché analogo all’Irlanda e alla maggior parte dei Paesi sviluppati: la maternità non deve essere motivo di penalizzazione delle lavoratrici.
© RIPRODUZIONE RISERVATA