Il 58% dei lettori di Money.it boccia la missione navale diretta verso Gaza. Ma il 41% la sostiene come gesto di resistenza civile e denuncia dell’assedio israeliano.
Il sondaggio lanciato da Money.it sulla Global Sumud Flotilla restituisce un quadro chiaro: la maggioranza dei lettori, pari al 58%, non approva l’iniziativa. Una minoranza consistente, il 41%, la sostiene invece come atto di solidarietà e resistenza pacifica, mentre solo l’1% dichiara incertezza.

Il dato fotografa una spaccatura che non è solo statistica, ma politica e culturale. La Flotilla non è percepita come un’operazione umanitaria neutrale, bensì come un’azione fortemente simbolica, capace di accendere divisioni in Italia come altrove. Il termine *sumud, che in arabo significa “resistenza” o “fermezza”, riflette il messaggio che gli attivisti intendono lanciare: rompere il silenzio internazionale e denunciare un blocco considerato illegale.
Le ragioni del “no” al convoglio possono essere lette sotto più angolazioni. Da un lato, pesano i rischi concreti per i partecipanti: Israele ha già dichiarato che i membri della Flotilla saranno trattati come prigionieri di massima sicurezza. Dall’altro, si riflette una diffusa convinzione che la soluzione alla crisi non passi da gesti dimostrativi, ma da un difficile equilibrio diplomatico.
Eppure, il 41% dei voti a favore segnala che quasi metà dei partecipanti al sondaggio riconosce valore a questa azione simbolica. Per loro, non si tratta solo di consegnare aiuti umanitari, ma di costringere la comunità internazionale a guardare verso Gaza, dove la popolazione civile continua a pagare il prezzo più alto. La presenza di personalità note come Greta Thunberg e Susan Sarandon, insieme a parlamentari e medici di tutto il mondo, amplifica il carattere globale della missione.
Il dibattito rimane dunque aperto: la Global Sumud Flotilla è per alcuni un gesto irresponsabile, per altri un imperativo morale. La divisione emersa dal sondaggio rispecchia in fondo la stessa tensione che attraversa le opinioni pubbliche di molti Paesi: tra prudenza politica e urgenza etica, tra timore dei rischi e desiderio di non voltarsi dall’altra parte.
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