Cos’è la Flotilla, cosa vuole fare e perché se ne parla

Luna Luciano

28 Settembre 2025 - 10:47

La Global Sumud Flotilla sfida il blocco navale israeliano per portare aiuti a Gaza. Non solo aiuti umanitari: la sua missione è denunciare un assedio che il diritto internazionale definisce illegale.

Cos’è la Flotilla, cosa vuole fare e perché se ne parla

Le navi della Sumud Flotilla hanno ripreso la rotta verso Gaza.

Nonostante gli attacchi di Israele, i guasti alle imbarcazioni e gli appelli politici a desistere nel forzare il blocco navale, i portavoce fanno sapere che andranno avanti. Anche perché, come affermano gli attivisti, la Global Sumud Flotilla non è solo un gruppo di imbarcazioni che porta aiuti umanitari, ma ha lo scopo di volgere l’attenzione sul blocco navale di Israele - illegale da un punto di vista del diritto internazionale - sull’assedio e il genocidio palestinese.

Un piano di pulizia etnica, un vero e proprio genocidio riconosciuto dall’ONU, che ha portato l’uccisione e l’assassinio di 65.000 persone, di cui 21.000 sono solo bambini.

Intanto Israele continua imperterrita negli attacchi e ad affamare il popolo palestinese: sono oltre 132mila i bambini che rischiano di morire di fame secondo i dati di Emergency, il tutto sotto gli occhi di un mondo colpevole di un silenzio omertoso, perché non basta l’atto simbolico di riconoscere lo Stato della Palestina, quando il suo popolo rischia di scomparire tra la fame e i bombardamenti.

Intanto la Flotilla continua a navigare, rifiutando gli appelli di chi invita a non andare avanti, inviando gli aiuti a Gerusalemme. E mentre le azioni della Flotilla vengono adoperate nel dibattito politico, a Gaza si continua a morire. Ad ogni modo una rotta alternativa potrebbe fornire la soluzione per portare gli aiuti umanitari. Di seguito tutto quello che c’è da sapere sulla missione della Flotilla.

Cos’è la Flotilla e qual è la sua missione

La Global Sumud Flotilla nasce come iniziativa internazionale di solidarietà per rompere l’assedio marittimo imposto da Israele a Gaza dal 2007. Il termine “sumud” in arabo significa “fermezza”: un concetto che sintetizza la determinazione degli attivisti a resistere e ad agire in modo non violento contro l’illegalità del blocco.

La missione è senza precedenti per dimensioni: circa 400 persone a bordo di oltre 60 imbarcazioni, con delegazioni provenienti da 44 Paesi, dall’Europa al Medio Oriente, fino a Oceania e America Latina. A bordo si trovano medici, avvocati, attivisti, parlamentari, religiosi e figure pubbliche come Greta Thunberg e Susan Sarandon.

Gli obiettivi sono due: consegnare oltre 250 tonnellate di aiuti alimentari e medici alla popolazione palestinese e richiamare l’attenzione mondiale sull’assedio e sul genocidio in corso. L’organizzazione ha predisposto un vero e proprio addestramento nonviolento per tutti i partecipanti: in caso di intercettazione, gli attivisti sono istruiti a non reagire, mantenere le mani visibili, non fare gesti improvvisi e rispondere solo a domande dirette. Questa preparazione riflette l’impegno a mantenere la missione su un piano civile, ribadendo che non si tratta di una sfida militare, ma di un atto politico (nel più ampio senso del termine e non con accezione propagandistica e partitica) e umanitario.

Flotilla, gli attacchi di Israele: cosa è accaduto

Israele ha già intercettato in passato diverse flottiglie dirette a Gaza, spesso con violenza. L’episodio più noto resta quello del 2010, quando l’assalto alla nave turca Mavi Marmara causò la morte di 9 attivisti, provocando una crisi diplomatica tra Turchia e Israele.

Oggi, il governo israeliano continua a considerare la Flotilla una minaccia, accusando i partecipanti di “sostenere il terrorismo”. Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha annunciato che gli attivisti catturati verranno incarcerati nelle prigioni di massima sicurezza Ketziot e Damon, senza privilegi o condizioni umane.

Nelle ultime settimane, le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla hanno subito attacchi con droni armati in acque internazionali (violando ancora e ancora il diritto internazionale), causando danni significativi, come nel caso della nave “Family Boat”, costretta a fermarsi per un guasto al motore dopo un assalto.

La marina israeliana ha più volte impedito l’arrivo degli aiuti, sostenendo che il blocco navale è necessario per impedire il contrabbando di armi a Hamas. Ma per gli organizzatori, queste azioni rappresentano una violazione palese del diritto internazionale marittimo e una dimostrazione della volontà israeliana di isolare Gaza, anche a costo di affamare un’intero popolo.

Flotilla, le reazioni del governo italiano: l’invito di Mattarella e la posizione degli attivisti

La partecipazione di parlamentari italiani alla Flotilla – tra cui Benedetta Scuderi, Annalisa Corrado, Arturo Scotto e Marco Croatti – ha sollevato un acceso dibattito politico. La premier Giorgia Meloni ha definito la missione “un atto irresponsabile”, suggerendo di utilizzare “canali alternativi” per l’invio di aiuti. In realtà, secondo gli attivisti, queste parole equivalgono a un tentativo di delegittimare una missione internazionale che mette in luce le responsabilità di Israele.

La segretaria del PD, Elly Schlein, ha chiesto al governo di garantire protezione ai connazionali a bordo, mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che gli attivisti “sanno i rischi che corrono” e ha ribadito che non ci sarà alcuna scorta militare italiana.

In questo quadro, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto un appello alla responsabilità, chiedendo che si individui una via diplomatica capace di garantire la consegna degli aiuti senza esporre ulteriormente vite civili al pericolo. Il nodo politico resta evidente. La replica della Global Sumud Flotilla non si è fatta attendere e ha respinto l’invito del presidente pur aprendo a delle trattative: “La questione degli aiuti è importantissima. Noi siamo pronti a valutare delle mediazioni, ma non cambiando rotta perché significa ammettere che si lascia operare un governo in modo illegale senza poter fare nulla ”, è stata la prima replica della portavoce per l’Italia Maria Elena Delia.

Questa proposta non possiamo accettarla. È come dire: se vi volete salvare non possiamo chiedere a chi vi attaccherà di non farlo, malgrado sia un reato, chiediamo a voi di scansarvi. Questo nodo legale non è solo una questione di principio ma è sostanziale. Israele sta commettendo un genocidio senza che nessuno dei nostri governi abbia ancora avuto il coraggio di porre delle sanzioni, porre un embargo sulle armi, chiudere almeno un parte dei rapporti commerciali. Se una di queste soluzioni potrebbero essere prese in considerazione ne saremmo ben felici però non stiamo facendo nulla di male. Perché non dobbiamo navigare in acque internazionali?

In serata poi la delegazione italiana ha reso noto di aver ritenuto opportuno di richiedere la presenza in Italia della portavoce Maria Elena Delia, al fine di condurre un dialogo diretto con le istituzioni. Tuttavia è impossibile non soffermarsi sull’aspetto politico, il contrasto è netto: quando la Russia ha violato il diritto internazionale invadendo l’Ucraina, l’Unione Europea (Italia compresa) e il resto dei Paesi occidentali hanno reagito con sanzioni immediate. Ma nei confronti di Israele, che da anni viola le risoluzioni ONU e continua un’occupazione coloniale che sfocia in genocidio, prevale il silenzio o la retorica della “sicurezza israeliana”. Chi critica Tel Aviv viene accusato di antisemitismo, un’arma retorica che serve a mascherare un crimine contro l’umanità e a legittimare un assedio che dura da oltre 75 anni.

Flotilla, una rotta alternativa per raggiungere Gaza

Il percorso verso Gaza resta incerto e carico di rischi. La Flotilla ha già dovuto modificare più volte la sua rotta a causa degli attacchi. Israele ha chiarito che non consentirà il passaggio, mentre l’Unione Europea e Frontex hanno escluso ogni possibilità di protezione militare. Si sono ipotizzate soluzioni intermedie: una prevede l’arrivo della flotta a Cipro, da cui il Patriarcato latino di Gerusalemme si occuperebbe di trasferire gli aiuti via terra attraverso Israele. Ma questa proposta è stata respinta dagli organizzatori, che la vedono come un modo per depotenziare il messaggio politico della missione.

Un’altra possibilità sarebbe approdare in Egitto, nei pressi del valico di Rafah, per scaricare gli aiuti e trasferirli con i camion verso la Striscia. Questa opzione, se attuata, costituirebbe un precedente diplomatico importante, aprendo temporaneamente uno dei corridoi umanitari.

Perché è importante ciò che sta facendo la Sumud Flotilla: all eyes on Gaza

La missione della Global Sumud Flotilla non è solo un’operazione di consegna di aiuti.

È un atto politico e simbolico che rompe l’omertà della comunità internazionale. Gli attivisti invitano a non restare complici del genocidio palestinese, denunciando come Israele stia violando ogni norma del diritto internazionale e dei diritti umani fondamentali. L’assedio di Gaza non è iniziato oggi: dura da oltre mezzo secolo, con fasi di intensificazione che hanno trasformato la Striscia in una prigione a cielo aperto.

Eppure, chiunque critichi Israele viene tacciato di antisemitismo, Tel Aviv continua nella sua retorica a farsi scudo con l’olocausto. Tuttavia è impossibile non accorgersi che è Israele a commettere a sua volta un Olocausto. Parlare di “olocausto palestinese” non è una forzatura retorica, ma la constatazione che Israele sta sacrificando la vita di un intero popolo, attuando un piano di pulizia etnica, in nome della propria sicurezza.

Il termine deriva dal greco holokauston (ὁλόκαυστος ), che significa “bruciato interamente” ed era inizialmente utilizzata ad indicare un sacrificio supremo nell’ambito di una dedizione totale a motivi sacri o superiori. E non è ciò che sta facendo Israele perpetrando strategie genocidarie, bombardando ospedali, affamando una popolazione che per decenni ha vissuto un regime di apartheid, giustificando ogni attacco in virtù di una missione superiore: la protezione del popolo ebreo?

Negli anni Israele ha ritenuto inappropriato il termine religioso, invitando a indicare il genocidio ebreo con “Shoah ” (lett. “catastrofe”). Ma, ancora, non possiamo definire una catastrofe anche ciò che sta avvenendo a Gaza, dove la sopravvivenza stessa dei palestinesi è messa in discussione?

La Flotilla ci ricorda che la memoria della Shoah non può diventare uno scudo per giustificare nuovi genocidi. Se davvero si vuole onorare la storia, bisogna impedire che si ripeta l’annientamento di un popolo. “All eyes on Gaza” non è uno slogan, ma un monito: il silenzio equivale a complicità.

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