Fringe benefit 2024, quali sono e nuovi limiti di esenzione

Simone Micocci

18/12/2023

19/12/2023 - 10:57

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Fringe benefit, cosa sono e cosa cambia nel 2024? Nuovi limiti e prestazioni, le regole per datore di lavoro e dipendente.

Fringe benefit 2024, quali sono e nuovi limiti di esenzione

Novità per i fringe benefit, quei beni e servizi che rientrano nel welfare aziendale e che il datore di lavoro riconosce in aggiunta allo stipendio.

Nel 2024, infatti, cambia il limite di esenzione, mentre l’elenco viene ampliato con i rimborsi per le spese di affitto e per gli interessi del mutuo.

Per quanto i fringe benefit non siano erogati sotto forma di denaro (o almeno non sempre), e per questo si definiscono come dei compensi in natura, hanno comunque un valore economico che oltre una certa soglia viene regolarmente tassato.

Tuttavia, per far sì che le aziende li riconoscano i lavoratori, da alcuni anni il governo sta intervenendo sulla soglia di esenzione per rendere i costi più convenienti.

Se si pensa al compenso per la prestazione svolta dal dipendente, quindi, non bisogna pensare al solo stipendio. Alla retribuzione possono aggiungersi anche dei benefit, come ad esempio l’utilizzo dell’auto aziendale o la disponibilità di un alloggio, che rendono la retribuzione complessiva ancora più conveniente.

A tal proposito, ecco una guida aggiornata ai fringe benefit per contratto di lavoro subordinato con tutte le novità introdotte dalla legge di Bilancio 2024.

Quali sono i fringe benefit

Prima di occuparci degli aspetti più tecnici dei fringe benefit, vediamo in sintesi quali sono quelli più diffusi e utilizzati nei rapporti di lavoro dipendente. Ebbene tra essi non mancano di certo i seguenti:

  • telefono aziendale;
  • Pc aziendale;
  • auto aziendale a uso promiscuo (usata cioè nel tempo libero e per ragioni lavorative);
  • buoni pasto;
  • abitazione in affitto;
  • acquisti di azioni societarie;
  • assicurazione sanitaria;
  • assistenza per le persone non autosufficienti;
  • agevolazioni per tasse scolastiche e borse di studio.

Da qualche anno rientrano nei fringe benefit, e nei limiti di esenzione previsti, anche i rimborsi per le spese sostenute dal lavoratore per la fornitura elettrica, di gas e acqua presso la propria abitazione. Nel 2024 si aggiunge anche il rimborso per affitto e mutuo.

A chi spettano

In linea generale, ricordiamo che è l’azienda a scegliere quali e quanti dipendenti hanno diritto a un certo fringe benefit. Anzi il beneficio può essere riconosciuto al singolo lavoratore in accordo con il datore di lavoro, all’interno del contratto individuale.

Attenzione: sono da considerare fringe benefit solamente quelli riconosciuti in favore dei prestatori di lavoro subordinato. Non spettano quindi ai lavoratori autonomi né a coloro che hanno una collaborazione coordinata e continuativa.

Perché l’azienda ricorre ai fringe benefit?

Ci si potrebbe chiedere del perché di questa voce addizionale allo stipendio del lavoratore, ovvero: per quale motivo un datore dovrebbe optare per i fringe benefit? Ebbene, la risposta è molto semplice, dato che le aziende se ne servono per:

  • diminuire il carico contributivo e fiscale che altrimenti avrebbero con l’attribuzione ai lavoratori di compensi monetari;
  • fidelizzare i dipendenti, che si sentiranno maggiormente motivati a restare in azienda (e a non accettare eventuali offerte di lavoro di aziende concorrenti) e conseguentemente saranno incentivati a migliori performance.

In estrema sintesi, grazie ai fringe benefit un dipendente è dunque agevolato nello svolgimento della propria mansione lavorativa perché viene sgravato di alcune spese e, al contempo, dette agevolazioni rappresentano uno strumento di supporto contro l’inflazione e il carovita.

Come quantificarli

A questo punto ci si potrebbe chiedere come viene quantificato un fringe benefit: ebbene, il principio generale di riferimento è quello dell’onnicomprensività del reddito da lavoro subordinato, di cui si trova traccia nel Testo unico delle imposte sui redditi (art. 51. TUIR) e in base a cui si ritengono incluse nel reddito da lavoro dipendente tutte le somme e i valori in generale, a ogni titolo incassati nel periodo d’imposta - anche sotto forma di erogazioni liberali - in relazione al rapporto di lavoro.

Pertanto anche i fringe benefit si intendono compresi nel reddito del dipendente.

Non solo. Il principio di onnicomprensività implica la totale imponibilità di tutto ciò che il dipendente riceve, che sia in qualsiasi maniera riconducibile all’esistenza di rapporto di lavoro subordinato. Degli aspetti fiscali dei fringe benefit parleremo tra poco.

Ciò premesso, la regola chiave sulla quantificazione dei fringe benefit è che detto beneficio in natura deve essere quantificato - e indicato in busta paga - al valore normale, inteso come:

il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.

Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso.

La tassazione dei fringe benefit e il rilievo del TUIR

I compensi in natura o fringe benefit, essendo erogati sempre e comunque come corrispettivo della prestazione lavorativa, hanno natura retributiva con la conseguente applicazione dei principi in ambito di retribuzione. D’altronde lo stesso art. 2099 del Codice Civile indica espressamente che il lavoratore può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione o, appunto, con prestazioni in natura.

Non a caso, anche i fringe benefit - proprio come il compenso monetario classico del lavoratore - sono sottoposti a tassazione, ma soltanto oltre un certo limite. Ciò vuol dire che si può parlare di non imponibilità dei fringe benefit, ovvero di esclusione alla formazione del reddito del lavoratore se complessivamente al di sotto del valore di 258,23 euro nel periodo di imposta di riferimento - come indicato dal TUIR.

Pertanto, al suddetto principio generale dell’onnicomprensività del reddito da lavoro subordinato deroga quanto indicato dall’art. 51, comma 3 TUIR, in base a cui sono esclusi dal concorso nella formazione del reddito del lavoratore tutti i fringe benefit erogati, se nel complesso al di sotto del valore di 258,23 euro nel periodo d’imposta di riferimento.

Nel 2024, però, questo limite viene innalzato e portato a:

  • 2.000 euro l’anno per i lavoratori dipendenti con figli a carico;
  • 1.000 euro l’anno per tutti gli altri.

Torna quindi una soglia di esenzione più elevata per i lavoratori senza figli, ma è bene prestare attenzione a non superarla altrimenti si perde l’agevolazione per intero.

Superamento del limite di non imponibilità

La domanda sorge spontanea: che cosa succede se il limite di esenzione fiscale e contributiva viene superato? Semplicemente, in ipotesi di superamento di detto livello il valore del bene deve ritenersi integralmente imponibile.

Parecchi anni fa l’Agenzia delle Entrate ha emanato una circolare ad hoc, con cui ha dato utilissimi chiarimenti circa gli aspetti fiscali dei fringe benefit, precisando in particolare che:

  • se il citato limite pari a 258,23 euro viene superato nel corso del periodo di imposta, l’ammontare del valore concorre totalmente alla formazione del reddito. Ciò vuol dire che il valore di 258,23 euro non deve essere inteso come una sorta di ’franchigia’ esente da imposizione fiscale, ma da vero e proprio limite assoluto oltre il quale tutto il fringe benefit viene di fatto tassato;
  • il limite di esenzione fiscale e contributiva in oggetto è sempre applicabile e, anzi, in caso di più fringe benefit determinati con criteri diversi, è necessario dare luogo alla somma dei valori ottenuti e verificare l’eventuale superamento di detta soglia nel periodo d’imposta di riferimento.

Lo stesso trattamento si applica anche sui nuovi limiti: superando la soglia di 2.000 o 1.000 euro si perde l’agevolazione per intero. Le tasse si pagano quindi sull’intero importo e non sulla parte che eccede il limite.

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