Dall’assistente virtuale al consulente personale, l’intelligenza artificiale conquista fiducia ed emozioni. Ma il confine tra utilità e dipendenza è sottile e rischioso.
Gran parte dell’entusiasmo del mondo degli investimenti per l’intelligenza artificiale nasce dal suo potenziale di rendere la vita più efficiente e produttiva. Se la tecnologia offrirà motori di ricerca migliori, modi più semplici per fare acquisti o agenti AI in grado di organizzare e prenotare le prossime vacanze, enormi mercati digitali potrebbero aprirsi.
Ma cosa accadrebbe se milioni di persone desiderassero dall’AI qualcosa di più personale e profondo — e in molti casi avessero già iniziato a trovarlo?
Man mano che parlare con un chatbot diventa un’attività quotidiana, le aziende tecnologiche stanno scoprendo comportamenti nuovi e inattesi da parte degli utenti, insieme a un crescente livello di attaccamento emotivo. Sempre più persone non vedono l’AI solo come uno strumento utile, ma come un terapista, un coach di vita, una musa creativa o semplicemente qualcuno con cui parlare. Secondo Sam Altman, CEO di OpenAI, presto “miliardi di persone” si affideranno a ChatGPT per consigli su “decisioni importanti della loro vita”. [...]
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