Tassazione sui dividendi, balzo previsto con la legge di bilancio 2026 del governo Meloni. I soggetti colpiti e il grido di allarme.
A essere sotto attacco non sono ’solo’, per modo di dire, i dividendi che le banche italiane distribuiscono ai loro azionisti.
La legge di bilancio del governo Meloni per il 2026 ha messo nel mirino, in generale, tutti i dividendi, sebbene in alcuni casi specifici: quelli in cui le cedole sono maturate a fronte di partecipazioni di minoranza detenute da azionisti che siano soggetti IRES e imprenditori IRPEF.
Per la precisione, la disposizione contenuta nel testo del Disegno di legge di bilancio, ora all’esame del Parlamento, prevede che i soggetti che rientrino in queste due categorie e che siano in possesso di una partecipazione inferiore al 10% vedano la tassazione sui dividendi schizzare letteralmente, passando dall’attuale 1,2% al 24%.
Per chi detiene una quota superiore al 10%, il governo Meloni ha invece deciso di mantenere in vigore la tassazione attuale, che prevede che i dividendi staccati siano sottoposti a una tassazione non superiore all’1,2%.
Dividendi sotto attacco con partecipazioni sotto il 10% per soggetti IRES e imprenditori IRPEF
A essere colpiti dal balzo della tassazione sarebbero, stando a quanto statuito dal Disegno di legge di bilancio 2026, per l’appunto, i soggetti IRES e i soggetti IRPEF in regime di impresa, dunque aziende e imprenditori IRPEF, che non beneficerebbero più, nel caso in cui detenessero partecipazioni in società inferiori alla soglia del 10%, di quel regime di esenzione dalle imposte dirette degli utili redistribuiti.
Il regime di esenzione è stato spiegato da Assoholding che, in una nota, ha mostrato tutta la “propria preoccupazione per le conseguenze sistemiche di tale intervento”, ricordando quanto stabilito da quell’articolo del disegno di legge di Bilancio che sta facendo tremare le imprese.
Si tratta, ha spiegato l’Associazione di categoria delle Holding italiane, dell’articolo 18 del disegno di legge di Bilancio 2026, che “introduce una modifica sostanziale alla disciplina della distribuzione dei dividendi nell’ambito del reddito d’impresa, intervenendo sugli articoli 59 e 89 del TUIR (D.P.R. 917/1986)”, proponendo che, “a decorrere dal 1° gennaio 2026, le distribuzioni di utili, riserve o altri fondi deliberate da soggetti IRES possano beneficiare dell’esclusione dalla base imponibile — pari al 41,86% per gli imprenditori IRPEF e al 95% per i soggetti IRES — solo se la partecipazione nella società erogante non è inferiore al 10% ”.
Assoholding ha fatto notare anche che la “condizione si applicherebbe anche ai dividendi di fonte estera provenienti da società residenti in Stati inclusi nella cosiddetta white list”.
L’appello di Assoholding
L’appello di Assoholding è accorato:
“Se approvata, la norma stravolgerebbe l’assetto vigente della tassazione dei dividendi, minando principi cardine della fiscalità d’impresa consolidati da oltre vent’anni e introdotti con la riforma IRES del 2003, che istituì il regime della dividend exemption con la finalità di garantire la neutralità fiscale e prevenire la doppia imposizione lungo la catena partecipativa”.
La riforma IRES del 2003 stabilì di fatto con il regime della dividend exemption che l’imposta al 24% sui dividendi venisse applicata nel caso dei soggetti IRES soltanto sul 5% dei dividendi percepiti, consentendo così agli stessi di evitare la tassazione sul 95% dei dividendi.
L’ultima parola non è stata però ancora detta, e uno spiraglio di speranza si è aperto con la pubblicazione di un articolo de Il Sole 24 Ore, che ha riportato alcune indiscrezioni, secondo le quali il governo Meloni starebbe valutando opzioni alternative, meno dolorose per le imprese e i soggetti a cui è rivolta la stretta sui dividendi.
Soggetti che sono per l’appunto soggetti IRES, dunque aziende, e imprenditori IRPEF. Anche nei confronti di questi ultimi, se la disposizione dell’articolo 18 rimanesse inalterata, a partire dal 1° gennaio 2026, l’esclusione dalla base imponibile, che in questi casi è pari al 41,86%, verrebbe riconosciuta solo se la partecipazione non fosse per l’appunto inferiore al 10%.
Tra le opzioni al vaglio per scongiurare la super tassazione, la possibile esclusione dell’applicazione della disposizione per le società quotate a Piazza Affari - con l’esenzione tuttavia che potrebbe essere “condizionata all’obbligo di mantenimento delle quote per un periodo minimo di almeno un anno” - e il dimezzamento del limite di partecipazione dal 10% al 5%.
Appelli al governo affinché eviti questa forma di super tassazione a discapito delle aziende sono stati lanciati da più parti, non solo da Assoholding.
L’attenti sulla disposizione sui dividendi lanciato anche da Orsini (Confindustria)
In evidenza le dichiarazioni del presidente di Confindustria Emanuele Orsini che, dopo aver avuto un confronto sulla legge di bilancio nella giornata di ieri, lunedì 27 ottobre 2025, con il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, ha commentato il dossier della tassazione dei dividendi durante un intervento a Milano, sempre ieri, all’assemblea annuale di Federchimica.
Nel far notare che, con la nuova disposizione contenuta nella manovra di Meloni, le aziende non potrebbero più beneficiare dell’esclusione dalla base imponibile della tassazione sul 95% dei dividendi percepiti, Orsini ha sottolineato che per Confindustria “l’obiettivo è costruire una misura che non comporti un aumento di tassazione o doppia tassazione ” e che preservi “il principio della neutralità Italia su Italia”, dal momento che “la tassazione deve essere una sola”.
La questione della tassazione sui dividendi era stata sollevata già la scorsa settimana, venerdì 24 ottobre 2025, da Maurizio Casasco, deputato di Forza Italia e responsabile del dipartimento Economia, che aveva indicato la necessità di “rivedere la nuova tassazione sui dividendi”, definendola “una misura che rischia di colpire pesantemente non solo le grandi società, ma anche le piccole e medie imprese”.
Casasco aveva spiegato così il contenuto dell’articolo 18 del DDL sulla legge di bilancio:
“Oggi un’azienda che detiene una partecipazione inferiore al 10% in un’altra impresa viene doppiamente tassata al 24% sull’IRES, passando tra le due realtà dal 44% al 57% di tassazione. Una impostazione che danneggia la competitività del sistema economico italiano, disincentiva gli investimenti e mina l’attrattività del nostro Paese. Secondo la relazione tecnica, la misura porterebbe circa 1 miliardo di euro nelle casse dello Stato nei prossimi due anni, ma a caro prezzo: perché riduce la propensione a investire, sia per le grandi imprese sia per le PMI”.
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