Crisi economica mondiale: 7 fattori da osservare nel 2023, tra questi c’è l’Italia

Violetta Silvestri

14/11/2022

14/11/2022 - 15:39

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Nel 2023 la crisi economica mondiale può peggiorare: per quali motivi? I rischi di una esplosione globale dell’economia sono almeno 7 e tra questi spunta l’Italia con il suo debito da gestire.

Crisi economica mondiale: 7 fattori da osservare nel 2023, tra questi c’è l’Italia

Si incupiscono le previsioni economiche globali. E l’Italia risulta nel pieno di queste stime al ribasso: per quale motivo?

Analisti ed esperti, con il Fmi che si è appena pronunciato nella cornice del G20 in Indonesia, concordano tutti su un punto: il 2023 sarà un anno molto difficile.

Questo significa che l’andamento dell’economia mondiale, messo a dura prova già nel 2022 e, in generale, dal 2020 con lo scoppio della pandemia, può ancora peggiorare.

Secondo un focus di Bloomberg, per esempio, la storia dice che gli aumenti ad alta velocità dei tassi di interesse della Federal Reserve potrebbero portare gli Stati Uniti in recessione nel 2023. Pochi saranno sorpresi, inoltre, se i prezzi del gas naturale in aumento faranno deragliare la crescita in Europa. Il doppio smacco di Covid Zero e un crollo immobiliare minacciano anche di portare l’economia cinese a uno stallo duraturo.

E in uno scenario al ribasso estremo, tutte queste accadranno contemporaneamente. Ciò potrebbe spazzare via circa $5 trilioni di produzione globale, rispetto alle previsioni più ottimistiche all’inizio di quest’anno, secondo Bloomberg Economics.

A questa sconfortante analisi si aggiunge il tono preoccupato appena emerso dal Fmi: inasprimento della politica monetaria innescato dall’inflazione persistentemente elevata e generalizzata, debole slancio della crescita in Cina e continue interruzioni dell’offerta, oltre all’insicurezza alimentare causate dall’invasione russa dell’Ucraina mettono in pericolo il mondo.

Attenzione, perché nella crisi economica globale degli analisti, spunta anche un’osservazione attenta - e preoccupata - dell’Italia e dei suoi conti pubblici. 5 fattori da considerare e perché il nostro Paese è uno di questi.

1. Tassi di interesse sempre più alti

Il tasso di interesse di riferimento della Fed è destinato a raggiungere il 5% all’inizio del 2023, rispetto allo zero all’inizio di quest’anno. La stretta monetaria più aggressiva degli ultimi decenni sta già danneggiando l’economia americana e quella mondiale.

Con costi di finanziamento elevati che colpiscono i settori sensibili ai tassi, dagli immobili alle automobili, Bloomberg Economics prevede una recessione negli Stati Uniti nella seconda metà del 2023. È probabile che oltre 2 milioni di americani perderanno il lavoro.

Il rischio è replicato in tutto il mondo, poiché la maggior parte dei Paesi condivide il problema dell’inflazione americana e le loro banche centrali stanno seguendo la stessa strada per risolverlo. Basta pensare all’Eurozona con l’azione della Bce, che ha già portato il tasso di interesse chiave al 2%. Questo vuol dire rate dei mutui più costose e una accelerazione della recessione, in una regione già fortemente coinvolta negli strascichi energetici della guerra in Ucraina.

C’è da dire, inoltre, che laddove le banche centrali hanno cercato altre strade, i risultati non sono stati migliori. Il Giappone è rimasto con tassi negativi, ma ha pagato un prezzo pesante sui mercati valutari, con lo yen che ha perso oltre il 15% del suo valore in dollari.

2. Incubo debito: l’Italia trema

Finché i tassi di crescita sono stati superiori ai costi di indebitamento, il debito pubblico è stato a buon mercato e i governi lo hanno accumulato. Il debito delle economie sviluppate del Gruppo dei Sette è salito al 128% del Pil quest’anno, dall’81% nel 2007.

Ora, con le economie che rallentano e i tassi di interesse in aumento, il calcolo sta cambiando e i conti pubblici tremano. Diverse grandi economie potrebbero trovarsi sulla traiettoria del debito insostenibile a meno che non apportino aggiustamenti fiscali dolorosi.

È in questo contesto che l’Italia spunta come Paese osservato speciale. Gli investitori stanno valutando il Belpaese, dove i costi del servizio del debito dovrebbero salire al 7% del Pil entro il 2030, dal 3% nel 2019. L’Italia probabilmente non andrà in default. Ma evitare questo risultato potrebbe richiedere una soluzione a livello europeo, in genere un procedimento arduo.

Moody’s, per esempio, ha già avvisato che il Governo Meloni non potrà rispondere alle promesse della campagna elettorale per diminuire le tasse, poiché questo significherebbe aumentare il deficit: tradotto, un messaggio molto negativo per i mercati.

Stesso dilemma tra nuovo debito per sostenere la ripresa e rigore nei conti per evitare il baratro è in corso nel Regno Unito, dove il terremoto c’è stato, in Giappone e negli stessi Usa.

3. Attenzione ai default degli Stati

In alcuni mercati emergenti il ​​dilemma sul debito è più acuto. Lo Sri Lanka ha seguito Libano e Zambia con uno storico mancato pagamento. Per ora, almeno, il problema appare contenuto.

Il modello di Bloomberg Economics suggerisce che i rischi di insolvenza imminenti sono concentrati nelle piccole economie che rappresentano solo il 3% del Pil globale, mentre è probabile che i Paesi in via di sviluppo più grandi siano risparmiati da una crisi del debito.

La Turchia potrebbe essere un’eccezione. Le elezioni di giugno probabilmente indurranno il presidente Recep Tayyip Erdogan a perseguire politiche ancora più “non ortodosse” per alimentare la crescita, con la lira - e forse la sostenibilità del debito - a pagarne il prezzo. L’inflazione è all’85% ma i tassi continuano a scendere.

4. Mercati immobiliari pronti a esplodere?

Prestiti più costosi significano che il momento è cruciale per i mercati immobiliari di tutto il mondo. Paesi come il Canada e la Nuova Zelanda, che si collocano tra i mercati immobiliari più schiumosi in base a parametri come il rapporto prezzo/reddito, potrebbero trovarsi in prima linea.

Gli Stati Uniti non sono in cima alla classifica dei rischi, ma non sono lontani. Ci vorrà un calo del 15% dei prezzi a livello nazionale per portare i pagamenti dei mutui in linea con i redditi delle famiglie, stima Bloomberg Economics.

5. Problemi in Cina, guai per tutti

Per la Cina, il caso di base è che la riapertura dell’economia dopo la severa politica Covid Zero - un processo che è già iniziato e che probabilmente prenderà slancio dopo l’Assemblea nazionale del popolo di marzo - compenserà la continua resistenza del settore immobiliare, con l’effetto netto di una crescita leggermente più forte. Bloomberg Economics prevede il 5,7% per il 2023.

I rischi, però, sono fortemente orientati al ribasso. Quando e come il governo porrà fine alle restrizioni pandemiche non è chiaro. I calcoli di Bloomberg Economics suggeriscono che la costruzione di immobili deve diminuire del 25% per riallinearsi alla contrazione dell’offerta.

Inoltre, l’incombente ritiro dei massimi funzionari economici potrebbe lasciare al presidente Xi Jinping una squadra che non ha esperienza nella lotta alla crisi.

Il fallimento su entrambi questi fronti potrebbe portare la crescita cinese fino al 2,2%. Se il crollo immobiliare si trasforma in crisi finanziaria, anche quel numero sarà fuori portata.

Un rallentamento così forte manderebbe onde d’urto in tutto il mondo. Il colpo più grande cadrebbe sui vicini asiatici, dalla Corea al Vietnam, e sui principali produttori di materie prime come Australia e Brasile.

6. Rebus energia in Europa

Un pezzo del puzzle del rischio globale è la polarizzazione del mondo in campi rivali, che sta già imponendo costi elevati all’Europa.

Il sostegno all’Ucraina dopo l’invasione russa ha lasciato il continente con la carenza di gas naturale e l’aumento dei prezzi dell’energia. L’ipotesi di base di Bloomberg Economics è che gli elevati costi energetici e gli aumenti dei tassi da parte della Banca centrale europea faranno cadere il blocco in recessione, con il Pil in calo dello 0,1% nel 2023.

Con un po’ di fortuna (bel tempo) e abilità (politiche che convogliano il gas scarso nei posti giusti), l’Europa potrebbe evitare una flessione. Senza nessuno dei due, l’economia potrebbe precipitare in una contrazione paragonabile a quella vista nella crisi finanziaria globale.

Il greggio è sceso da un picco causato dalla guerra di quasi 130 dollari al barile nella prima metà di quest’anno. Una combinazione di nuove sanzioni alla Russia, rilancio della domanda in Cina e tagli all’offerta da parte dell’OPEC potrebbero spingerla indietro l’anno prossimo, aprendo un altro fronte nella crisi energetica - in Europa e oltre - e aggiungendo carburante al fuoco dell’inflazione.

7. Fratture geopolotiche

La situazione di stallo con la Russia che ha lasciato l’Europa a corto di energia è solo un esempio di frattura geopolitica. Anche le relazioni tra Stati Uniti e Cina continuano a deteriorarsi.

Il presidente Joe Biden ha mantenuto le tariffe imposte dal suo predecessore Donald Trump e ha fatto un ulteriore passo avanti con un embargo sulla vendita di semiconduttori all’avanguardia, una mossa che minaccia congelare lo sviluppo tecnologico della Cina.

La rottura dei legami commerciali è un freno alla crescita in entrambi i Paesi, ma con la Cina che paga il prezzo maggiore.

Taiwan è il punto critico in cui la combustione lenta potrebbe trasformarsi in un incendio improvviso. Il delicato equilibrio che ha preservato la pace attraverso lo stretto ora sembra rompersi, insieme alla fiducia tra Washington e Pechino, in gran parte a causa del crescente peso politico ed economico della Cina.

Le conseguenze di un passo falso potrebbero essere estreme. Supponiamo che gli Stati Uniti stiano esagerando con un passo verso il riconoscimento dell’indipendenza di Taiwan. La Cina risponde con un blocco dell’isola. Gli Stati Uniti e gli alleati impongono un blitz di sanzioni. Anche se il conflitto viene evitato, il ruolo centrale di Taiwan nella produzione di semiconduttori - e il ruolo centrale della Cina nella produzione di tutto - potrebbe significare uno stress della catena di approvvigionamento peggiore dell’era Covid.

Il conflitto militare rimane comunque assai poco probabile. E per alcuni Paesi, la crescente spaccatura tra Cina e Stati Uniti rappresenta un’opportunità. La decisione di Apple di avviare la produzione dell’iPhone 14 in India è un segno che i giganti del business stanno coprendo la loro esposizione al rischio geopolitico. Paesi come il Vietnam e il Messico ne trarranno vantaggio.

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