Astaldi: una crisi che si poteva evitare?

Alessio Trappolini

13/12/2018

13/12/2018 - 12:05

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Secondo un documento riservato giunto in redazione la crisi di liquidità del general contractor romano poteva essere evitata. Ecco come

Astaldi: una crisi che si poteva evitare?

Crisi Astaldi: domenica 16 dicembre è il termine ultimo per la presentazione del piano concordatario da parte dei tre commissari giudiziali incaricati dal Tribunale di Roma.

Con ogni probabilità e secondo le informazioni in nostro possesso gli avvocati Stefano Ambrosini, Vincenzo Ioffredi e Francesco Rocchi non potranno presentare nessuna proposta e i giudici della sezione fallimentare del Tribunale romano avranno di fronte due strade: la dichiarazione ufficiale di fallimento oppure la concessione di ulteriori 60 giorni per la stesura del piano.

Mentre si contano i giorni la crisi finanziaria di Astaldi si è intensificata e la società rischia di non aver più risorse liquide per affrontare il nuovo anno. Questa situazione di forte stress poteva esser evitata? Si, secondo alcune carte in possesso di Money.it.

Spunta una trattativa fino ad ora sconosciuta con i soci turchi di İçtaş

La tensione di liquidità di Astaldi è stata provocata da due concause. In primo luogo la crisi che affligge l’intero settore: oltre ad Astaldi anche Condotte Spa (rispettivamente secondà e terza società italiane di costruzioni), Trevi e il gruppo cooperativo Cmc sono in grossa difficoltà o in stato pre-fallimentare.

Poi fattori interni: una sciagurata diversificazione geografica (il timing con cui Astaldi ha intercettato le crisi di Venezuela e Turchia è da manuale) e, soprattutto, la mancata vendita della partecipazione pari al 33% nel veicolo che controlla l’ormai famoso Terzo Ponte sul Bosforo, che il gruppo romano valutava 350 milioni di euro.

La joint venture era nata attraverso l’alleanza con la turca Ic Ictas e la cifra ricavata dalla vendita della partecipazione nel veicolo avrebbe dovuto essere parte integrante dell’operazione di rafforzamento patrimoniale da 300 milioni di euro cui avrebbe partecipato la giapponese IHI Corporation e portata avanti con il consorzio di garanzia guidato da JpMorgan e formato da Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bnp Paribas e Banco Bpm (i maggiori creditori di Astaldi).

Relativamente a quest’ultimo punto sono state tante le voci che si sono accavallate nel corso dell’estate. Dagli sviluppi successivi è infatti emerso che le banche creditrici di Astaldi avrebbero svolto un ruolo primario nella vendita (mancata) della partecipazione della concessionaria del Terzo Ponte, subordinando a questa operazione anche l’erogazione di nuove linee di credito a supporto dell’attività operativa della società.

Mentre in estate il mercato guardava con interesse alle trattative intrattenute fra Astaldi e un consorzio di società cinesi guidate da China Merchants Group, un’ulteriore offerta sarebbe pervenuta nelle mani dei manager italiani i quali avrebbero informato soltanto le banche creditrici.

Un estratto del ricorso presentato da Astaldi alla sezione fallimentare del Tribunale civile di Roma pervenuto a Money.it

Secondo quanto emerso nelle carte del Tribunale di Roma si sarebbe trattato di un’offerta vincolante (binding offer) giunta il 1° agosto dalla società turca Ictas, socia di Astaldi per la stessa concessione relativa al ponte.

Dai documenti in nostro possesso non è possibile risalire alla cifra offerta da Ictas, la storia ci dice però che l’affare non è andato in porto perché “l’importo della specifica offerta ricevuta risultava inferiore al valore di libro della partecipazione”.

L’offerta vincolante di Ictas avrebbe potuto cambiare il destino di Astaldi?

Lo abbiamo chiesto a Paolo Gorgò, investitore privato e owner di Nortia Research, che aveva sollevato la questione qualche giorno fa sulle pagine di Seeking Alpha.

Non possiamo sapere se l’offerta pervenuta da Ictas sarebbe stata sufficiente a garantire ad Astaldi l’accesso alle linee di credito e al successivo aumento di capitale, però possiamo ragionevolmente presumere che i manager della società italiana hanno creduto fino all’ultimo di poter ricevere un’offerta vincolante da altri compratori o di poter convincere le banche a supportare finanziariamente l’attività d’azienda anche senza vendita.

Quello che è certo è che a distanza di poco più di due mesi da quel’offerta Astaldi ha fatto richiesta al Tribunale di Roma di accedere ad una procedura di ristrutturazione dei propri debiti senza esser riuscita a dismettere la partecipazione nella concessione nel Terzo Ponte del Bosforo.

La pubblicizzazione dell’offerta di Ictas e, sopratutto, la sua accettazione avrebbero potuto evitare il collasso finanziario dell’azienda? Per completezza d’informazione abbiamo rivolto la stessa domanda anche ad Astaldi, senza aver ancora ricevuto una risposta.

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