La campagna elettorale è finita, ma il governo non lo sa: la prima manovra Meloni è quasi solo propaganda

Stefano Rizzuti

23/11/2022

23/11/2022 - 14:28

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Tanti piccoli interventi, misure a impatto molto limitato che sembrano utili solo a mantenere le promesse elettorali: la prima manovra targata Meloni rischia di essere quasi solo propaganda.

La campagna elettorale è finita, ma il governo non lo sa: la prima manovra Meloni è quasi solo propaganda

I soldi erano pochi, è vero. E le emergenze tante, a partire dal caro energia. Non a caso ben 21 miliardi, su 35 totali, sono finiti in misure per contrastare il caro bollette. Eppure qualcosa in più si poteva fare. La prima legge di Bilancio targata Giorgia Meloni rischia di essere un mezzo flop.

Molte delle misure annunciate in campagna elettorale sono state effettivamente inserite, non c’è dubbio. Ma il loro impatto sarà spesso minimo, se non addirittura nullo. Dalla flat tax alle pensioni, dal Reddito di cittadinanza al taglio del cuneo fiscale, si tratta di tanti mini-interventi che, probabilmente, non incideranno davvero sulle tasche degli italiani.

Il governo, come dice il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, ha scelto di seguire una linea prudente e responsabile. Ma, per il titolare del Mef, è stato anche “coraggioso”. Sulla prudenza, in effetti, non ci sono grossi dubbi. Sul coraggio, forse, un po’ meno. Perché alla fine ciò che si è scelto di fare è stato inseguire le promesse elettorali, provando a intervenire in tantissimi settori ma sempre con un impatto ridotto. Più propaganda che fatti concreti, dunque.

La legge di Bilancio 2023 è, per risorse stanziate, più o meno in linea con le ultime due (per cui si sono spesi tra i 30 e i 40 miliardi), ma la situazione economica è diversa e il rischio di una recessione è dietro l’angolo. Va anche sottolineato che il governo Draghi ha speso più o meno gli stessi soldi nei decreti Aiuti e ha anche lasciato un tesoretto da 10 miliardi a disposizione del nuovo esecutivo.

Peraltro il coraggio al governo Meloni sembra essere mancato anche sulle scelte fondamentali, a partire da quelle riguardanti le misure contro il caro bollette: nella maggior parte degli interventi in questo campo si è vista una completa continuità con il precedente esecutivo, confermando tantissime misure già esistenti.

Una manovra elettorale, interventi poco incisivi

Nella legge di Bilancio ci sono 21 miliardi contro il caro energia, è vero. Ma si tratta, di fatto, di una conferma di alcune misure esistenti. La proroga del taglio degli oneri sulle bollette, il rinnovo fino a marzo 2023 dei crediti d’imposta per le imprese (con un leggero aumento, unica vera novità) e l’estensione del bonus bollette con il limite Isee che passa da 12mila a 15mila euro, forse una delle misure più incisive della manovra, per quanto non sia nulla di nuovo.

Poi ci sono tanti piccoli interventi che non rientrano nel campo del caro bollette, come la riduzione dell’Iva al 5% per i prodotti per l’infanzia e l’igiene femminile: la tampon tax tagliata, in realtà, porterà a un risparmio minimo, di pochi euro l’anno. Ci sarà la nuova Social card, ma solo per i redditi bassi.

Aumenterà l’Assegno unico, tra le misure più importanti della legge di Bilancio. E ci sarà il taglio del cuneo fiscale. Nient’altro che una conferma di quanto avviene oggi in busta paga per chi guadagna fino a 35mila euro. L’aumento di stipendio ci sarà per i redditi sotto i 20mila euro, invece, ma parliamo di un incremento minimo: circa 10-15 euro in più al mese per lavoratore. È sufficiente che quel lavoratore utilizzi l’automobile e praticamente quei soldi li spenderebbe subito a causa dell’aumento dei costi della benzina (il taglio delle accise è stato dimezzato da Meloni).

Ci sono alcune misure identitarie del centrodestra, è vero. Come la tregua fiscale o l’innalzamento del tetto al contante a 5mila euro. Poi c’è la flat tax, ma solo per gli autonomi: l’aumento fino a 85mila e una tassa piatta incrementale con una soglia massima di 40mila euro. Riguarderà pochi lavoratori, di fatto.

Pensioni, una rivoluzione mancata

Di impatto modesto anche l’intervento sulle pensioni. Per la Quota 103 la platea sarà molto ristretta, probabilmente riguarderà (potenzialmente) meno di 50mila lavoratori. C’è la rivalutazione degli assegni minimi, ma in realtà l’importo crescerà di pochissimi euro al mese. E, peraltro, l’adeguamento all’inflazione sarà molto al di sotto delle attese per gran parte dei pensionati. Una misura al risparmio, quindi, per usare quei soldi per evitare il ritorno completo della legge Fornero. Obiettivo, tra l’altro, che riesce solo in parte considerando la platea ristretta di beneficiari della Quota 103.

Reddito di cittadinanza, l’addio è rimandato

La strada verso l’abolizione del Reddito di cittadinanza è stata tracciata. Ma è davvero un addio? Si parla di cancellazione dal 2024, ma intanto per il 2023 viene confermato. E per otto mensilità anche per gli abili al lavoro. L’abrogazione dal 2024 è comunque da confermare, innanzitutto perché si parla di una sostituzione con una nuova riforma per chi non può lavorare: di fatto, solo un cambio di nome.

E poi bisognerà vedere se gli occupabili riusciranno davvero a trovare lavoro e se quindi sarà possibile eliminare il sostegno senza il rischio di creare tensioni sociali, timore che ha già spinto il governo a ridimensionare la revisione del Reddito quest’anno. I risparmi, per il 2023, saranno modesti: solo 734 milioni di euro. E il taglio delle mensilità coinvolge circa 400mila nuclei, mentre non cambierebbe nulla per gli altri 630mila. Non proprio una rivoluzione, di certo.

Bandierine e propaganda

Alcune delle misure annunciate e promesse in campagna elettorale - aumento degli stipendi, anticipo pensionistico, crescita delle pensioni minime, flat tax, revisione del Reddito - sono state in effetti inserite in legge di Bilancio. Ma quasi nessuna di queste sembra poter avere un impatto concreto sui cittadini. Si è trattato di primi interventi, dice il governo per giustificare la mancanza di coraggio, che in realtà non incideranno più di tanto sulla vita di tutti i giorni. E difficilmente sembrano poter mitigare l’impatto della decrescita economica attesa nei prossimi mesi tra inflazione, caro energia e politiche monetarie restrittive.

Si è deciso di seguire il metodo del “di tutto un po’”: tanti piccoli interventi e nessuna misura realmente incisiva. Una strategia che sembra decisamente più elettorale, per mantenere alto il consenso, che non finalizzata a rispondere alle emergenze economiche del momento. I tempi erano molto stretti, certo, ma ci si aspettava qualcosa di più dalla prima legge di Bilancio targata Giorgia Meloni.

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