Il caso Boeing 737 MAX: tra incidenti mortali, patteggiamenti miliardari e pressioni politiche c’è il rischio che la giustizia americana ceda al peso di un colosso “too big to fail”.
La vicenda del Boeing 737 MAX rappresenta uno dei casi più emblematici di crisi industriale, politica e giudiziaria nella storia recente degli Stati Uniti. Nonostante siano trascorsi anni dagli incidenti che hanno causato la morte di 346 persone (189 nel mare di Giava nel 2018 e 157 vicino Addis Abeba nel 2019) la multinazionale americana ancora una volta è riuscita a evitare il processo penale.
Il crollo della fiducia in Boeing è iniziato con la scoperta delle gravi carenze legate al dispositivo MCAS del 737 MAX, un sistema progettato per abbassare il muso dell’aereo in certe condizioni critiche ma che ha finito per provocare entrambi i disastri per attivazione impropria. Gli investigatori hanno puntato il dito su omissioni verso le autorità federali, insufficiente formazione dei piloti e documentazione incompleta alle compagnie aeree.
Il percorso giudiziario aveva fatto sperare in un cambio di rotta. Nel gennaio 2021 il Dipartimento di Giustizia aveva accusato Boeing di “cospirazione per frodare il governo”, ma invece di aprire un processo penale era stato proposto un patteggiamento per 2,5 miliardi di dollari (tra multa, risarcimenti e un fondo per i familiari), accompagnato da impegni su riforme interne e trasparenza. La misura, però, si è rivelata insufficiente. Le proteste delle famiglie e i nuovi episodi di non conformità, come il distacco del portellone di un MAX 9 nel gennaio 2024, hanno costretto il governo a riaffrontare la questione.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca salva Boeing
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca nel 2025 si è dimostrato cruciale per l’esito della vicenda. Da quando il nuovo esecutivo si è insediato, il Dipartimento di Giustizia ha assunto un atteggiamento più morbido nei confronti della multinazionale. Si parla di una donazione di 2 milioni al comitato inaugurale e della partecipazione attiva del CEO di Boeing a missioni istituzionali, come il recente viaggio in Qatar per negoziare la vendita di 160 velivoli per 96 miliardi di dollari.
La svolta giurisprudenziale è arrivata a maggio 2025 quando il governo ha proposto a Boeing un “Non-Prosecution Agreement” (NPA), un patto che, a differenza del precedente, esclude qualsiasi dichiarazione di colpevolezza.
La storia, però, non è ancora chiusa definitivamente. Il prossimo 3 settembre 2025 il giudice federale Reed O’Connor, lo stesso che aveva già bocciato il secondo patteggiamento, dovrà decidere se accettare la mozione di archiviazione proposta dal Dipartimento. Se così fosse, il capitolo del processo si chiuderebbe a tempo indeterminato. Ma le famiglie delle vittime hanno già annunciato battaglia, sostenendo che nemmeno un gigante come Boeing può sottrarsi alle sue responsabilità.
“Too big to fail”: il peso della posizione dominante
La dimensione di Boeing e il suo ruolo strategico nel mercato globale degli aerei commerciali, dove si divide la scena quasi esclusivamente con l’europea Airbus, hanno generato una rete di protezione politica ed economica difficilmente scalfibile. Vista la quantità di posti di lavoro e capitali coinvolti, le autorità americane sono sempre state restie a intraprendere misure che potessero minacciare l’integrità del colosso.
Esperti ed ex funzionari, come Lina Khan (già a capo dell’Antitrust USA), sottolineano come la mancanza di concorrenza sia spesso all’origine di un peggioramento della qualità dei prodotti, dato che “le imprese che affrontano poca concorrenza hanno scarso incentivo a migliorare i loro prodotti.” Non sorprende, quindi, che la posizione dominante di Boeing sia finita non solo sotto la lente della giustizia, ma anche al centro di un dibattito sulla sicurezza e l’etica industriale.
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