Aumento di stipendi e pensioni a rischio, il governo deve affrontare il caro-bollette, ma già mancano i soldi

Giacomo Andreoli

30/08/2022

30/08/2022 - 16:21

condividi

Il governo Draghi sta cercando miliardi nelle pieghe del bilancio statale contro il caro-energia, ma la coperta dei fondi è corta: nel 2023 rischiano di saltare gli aumenti di stipendi e pensioni.

Aumento di stipendi e pensioni a rischio, il governo deve affrontare il caro-bollette, ma già mancano i soldi

Il caro-bollette continua a far preoccupare gli italiani. Il prezzo del gas sul mercato di Amsterdam rimane stabilmente sopra i 250 euro al megawattora e si prevedono nuovi pesanti aumenti entro ottobre, con Arera che stima almeno un raddoppio dei prezzi di gas e luce, sempre che Mosca non decida di interrompere del tutto le forniture di gas. Opzione che porterebbe direttamente ai razionamenti in uffici, case e luoghi pubblici (come le scuole).

Per questo il governo Draghi, seppur dimissionario, sta cercando fondi per intervenire ed aiutare famiglie e imprese. Il rischio, infatti, è che migliaia di aziende si trovino costrette a chiudere, mentre aumentano i cittadini morosi o che non arrivano alla fine del mese, anche visti gli stipendi per lo più bassi e stagnanti.

Il problema, però, sono i fondi: dopo i 17 miliardi di euro impiegati per il Dl Aiuti bis i soldi latitano e il presidente del Consiglio vuole evitare uno scostamento di bilancio in un momento delicato per la finanza pubblica, con previsioni di crescita non eccellenti. La coperta, insomma, è corta e così sono a rischio gli interventi per aumentare le pensioni e gli stipendi nel 2023.

Caro-bollette, il piano di Draghi in due tappe

Dopo le prime interlocuzioni tecniche tra il sottosegretario Roberto Garofoli e i ministri all’Economia e alla Transizione Ecologica, Daniele Franco e Roberto Cingolani, la situazione è apparsa complessa. Per capire quando e come varare un nuovo decreto legge serve un’attenta analisi delle risorse a disposizione.

L’idea di Mario Draghi, mentre continua il pressing dei partiti per intervenire, è agire in due tappe. Prima di tutto si vorrebbe far approvare un emendamento al decreto Aiuti bis, con 5-10 miliardi aggiuntivi per rafforzare gli aiuti a famiglie e imprese (a partire dal credito d’imposta per le aziende energivore, forniture calmierate ad alcune imprese e il prolungamento dello stop agli oneri di sistema in bolletta).

Il secondo passo sarebbe il nuovo decreto, da varare appena prima delle elezioni 25 settembre e la cui conversione spetterebbe alle nuove Camere. Nel frattempo, infatti, si conterebbero le entrate del mese, con la speranza di averne di maggiori rispetto al previsto o nel frattempo aver trovato il modo per ridurre la spesa pubblica. In campo, a questo punto, ci sarebbe il rafforzamento del bonus sociale per le famiglie meno abbienti, la proroga degli sconti sulle accise dei carburanti e forse un’ulteriore riduzione generalizzata dei costi (magari azzerando l’Iva sul gas).

Quanto a possibili tetti o prezzi amministrati al livello nazionale per luce e metano, Draghi rimane scettico e continua a lavorare in Europa per introdurre meccanismi comunitari: ieri, in questo senso, sono arrivate alcune aperture da Bruxelles che fanno ben sperare.

Il nodo della tassa sugli extraprofitti

Solo per prorogare l’attuale credito d’imposta per il caro-bollette alle imprese energivore servono 12 miliardi. Per questo si sta ragionando su come costringere le imprese che hanno realizzato extraprofitti a versare i 9 miliardi dovuti con la tassa al 25%, magari prevedendo penali talmente alte da disincentivare gli attuali ricorsi. Solo dopo, eventualmente, il prelievo può essere aumentato.

Non solo: si sta vedendo se è possibile sbloccare 17 terawattora che il Gse ha comprato a un pezzo molto più basso di quello attuale sul mercato (134 euro a megawattora contro oltre 250), da girare appunto alle energivore. Sarebbe un primo disaccoppiamento tra mercato del gas e mercato elettrico.

Aumento di pensioni e stipendi: mancano i fondi

Con queste difficoltà di bilancio, però, come detto sono a rischio tutti gli interventi sulle pensioni e gli stipendi. Per la rivalutazione delle prime l’anticipo di ottobre al 2% è costato 1,4 miliardi: con questa inflazione, secondo i conti del Sole 24 Ore, confermare tutto l’intervento a gennaio potrebbe costare fino a 6 miliardi aggiuntivi.

Confermare invece lo sgravio contributivo del 2% per i redditi fino a 35mila euro per tutto il prossimo anno costa 4,5 miliardi. A questi si aggiungono i circa 8 per prorogare bonus e sconti in bolletta e almeno 4 per rinnovare nel triennio 2022-2024 i contratti degli statali (anche se, tenendo conto indice dei prezzi al consumo indicato dal Def, secondo Il Corriere della Sera si può arrivare a un costo totale di 10 miliardi).

Il difficile rebus della legge di Bilancio

E ancora: serviranno almeno un altro paio di miliardi per confermare gli aiuti all’Ucraina. In tutto per la prossima legge di Bilancio servono quindi almeno 25 miliardi di euro, che difficilmente si troveranno senza fare nuovo deficit, praticamente indispensabile se si vuol fare un più corposo taglio del cuneo fiscale.

Peccato che il debito pubblico sia alle stelle e Draghi abbia concordato con Bruxelles una sua lieve flessione: l’Ue si è “accontentata” vista la situazione straordinaria e l’affidabilità percepita del presidente del Consiglio. Forzare troppo la mano rischia di diventare pericoloso, soprattutto in ottica di realizzazione del Pnrr: il giudizio della Commissione europea è fondamentale per ricevere i fondi.

Iscriviti a Money.it