Allarme conti pubblici per questi Paesi, c’è anche l’Italia

Violetta Silvestri

10/04/2024

10/04/2024 - 11:56

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I Paesi sviluppati e più ricchi appaiono sempre di più intrappolati in budget in deficit. Perché c’è un allarme conti pubblici, anche per l’Italia?

Allarme conti pubblici per questi Paesi, c’è anche l’Italia

Se c’è una preoccupazione che accomuna davvero le grandi potenze del mondo questa è il deficit di bilancio.

Come evidenziato da una recente analisi dell’Economist, infatti, in Occidente, la maggior parte delle economie presenta conti pubblici non in ordine, con budget in deficit a causa di una spesa pubblica che supera le entrate fiscali. In sintesi, i Governi spendono molto più di quanto incassano.

La liste dei Paesi in allerta per conti in rosso è lunga e, per certi versi, inaspettata a testimonianza di come questa tendenza sia piuttosto diffusa e abbia contagiato anche i Paesi solitamente prudenti e più parsimoniosi nella gestione delle casse pubbliche.

Nessun governo è più dissoluto di quello americano, hanno scritto gli analisti dell’Economist. Si prevede che quest’anno la più grande economia del mondo avrà un deficit di bilancio superiore al 7% del Pil, un livello tollerabile solo in tempi di recessione o di guerra.

Estonia e Finlandia, due Paesi del nord Europa normalmente cauti, stanno registrando ampi deficit di bilancio. L’anno scorso il disavanzo dell’Italia è stato ampio quanto quello del 2010-2011, in seguito alla crisi finanziaria globale del 2007-2009, e quello della Francia è cresciuto al 5,5% del Pil, ben al di sopra delle previsioni.

L’allarme conti pubblici sta suonando per le forti economie occidentali e non solo.

Paesi ricchi in deficit: i numeri e l’allarme

L’Economist ha analizzato i dati di 35 Paesi ricchi per arrivare alla conclusione di un aumento dei deficit di bilancio.

Nello specifico, mentre nel 2017-19 il Paese medio a campione aveva registrato un avanzo di bilancio, l’anno scorso ha registrato un deficit di bilancio prossimo al 2,5% del Pil. Anche le misure dei deficit “primari” (esclusi i pagamenti di interessi) e dei deficit “strutturali” (astraendo dal ciclo economico) si sono notevolmente ampliate.

L’Ufficio Parlamentare di bilancio italiano ha pubblicato un report nel gennaio scorso con una interessante analisi di confronto dei Documenti programmatici di bilancio dei 20 Paesi dell’Eurozona. Nel paragrafo dedicato al disavanzo, si legge che per il 2024 “9 Paesi (tra cui l’Italia) dovrebbero avere un deficit superiore al 3% del Pil, mentre 3 Paesi prevedono un surplus di bilancio”.

La Slovacchia prevede il rapporto deficit/PIL più elevato (6,3% nel 2023, 6,5% quest’anno), mentre Cipro stima il rapporto surplus/PIL più elevato (2,5% nel 2023, 2,8 nel 2024). “Tra le principali economie dell’area euro (Germania, Francia, Italia e Spagna), gli obiettivi di deficit di bilancio nominale precedentemente pianificati nei rispettivi PS dei Paesi sono stati confermati in Francia e rivisti al ribasso in Italia e al rialzo in Germania”.

Come mostra il grafico allegato alla relazione dell’Ufficio Parlamentare di bilancio, i conti continuano a stagnare in rosso in Eurozona:

Saldo primario Eurozona 2024 Saldo primario Eurozona 2024 differenza tra entrate e spese statali, escluse quelle per interessi sul debito pubblico.

Nel Def appena approvato dal Governo Meloni l’Italia ha stimato per il 2024 un deficit al 4,3% che solo nel 2027 dovrebbe scendere sotto la soglia del 3%.

Perché i bilanci degli Stati sono in deficit?

Gli analisti dell’Economist si concentrano su 2 specifiche motivazioni per spiegare l’aumento dei Paesi in deficit.

La prima riguarda le tasse. Nel mondo ricco, le entrate sono sorprendentemente deboli secondo questa osservazione. Negli Usa, le entrate derivanti dalle imposte sul reddito detratte dalla retribuzione sono leggermente diminuite lo scorso anno. Nel frattempo, le “imposte sul reddito non trattenute”, comprese quelle sulle plusvalenze, sono crollate di un quarto.

L’imposta britannica sulle plusvalenze è inferiore dell’11% al suo recente massimo. E l’autovalutazione fiscale del Giappone per quest’anno, che include alcune imposte sulle plusvalenze, è sulla buona strada per essere inferiore del 4% rispetto allo scorso anno.

I contribuenti sono stati sotto pressione a causa delle turbolenze del mercato tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023. Con il calo dei prezzi delle azioni, è diventato più difficile per le famiglie e gli investitori vendere azioni a scopo di lucro, riducendo il bacino delle plusvalenze. L’anno scorso poche persone hanno guadagnato denaro vendendo case poiché i prezzi degli immobili sono crollati.

Il secondo fattore è la spesa statale. Con la pandemia Covid i Governi hanno aumentato i livelli di assistenza per i cittadini. Per esempio, solo a metà del 2023 la Germania ha completamente abbandonato i programmi di protezione del lavoro attuati durante la crisi pandemica.

Gli Usa stanno ancora pagando sostanziali rimborsi fiscali alle piccole imprese che hanno mantenuto le persone attive durante il lockdown. In Italia un progetto ideato nel 2020 per incoraggiare i proprietari di case a renderle più ecosostenibili, è andato fuori controllo, con il governo che finora ha erogato aiuti per un valore di 200 miliardi di euro (o il 10% del Pil).

I politici sono anche diventati più pronti a intervenire – e a spendere denaro – per correggere gap e squilibri secondo l’Economist. Dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina e i prezzi dell’energia sono saliti alle stelle, i Governi europei hanno stanziato circa il 4% del Pil per proteggere le famiglie e le aziende dagli effetti. Alcune nazioni, tra cui la Polonia e i Paesi baltici, stanno ora spendendo molto in armi e soldati e tutta l’Europa è pressata affinché aumenti la spesa per difesa.

Il presidente Joe Biden vuole condonare quanto più debito studentesco possibile prima delle elezioni presidenziali americane di novembre.

Tuttavia, il contesto generale appare sempre più complesso e sfavorevole agli Stati che vogliono continuare a spendere. Da una parte cambiamenti epocali come la transizione energetica e le tensioni geopolitiche richiedono soldi per investire. Dall’altra tassi elevati e inflazione volatile assorbono soldi pubblici. I grandi deficit sono quindi un problema di non immediata soluzione.

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