Sai che rischi di non prendere mai i soldi della liquidazione? Ecco in quali casi perdi il Tfr.
Il Tfr, il Trattamento di fine rapporto, è quel “tesoretto” che ogni lavoratore dipendente matura nel corso degli anni, destinato a diventare un sostegno economico alla cessazione del rapporto di lavoro (indipendentemente dalla ragione dello stesso). Ma non sempre i soldi entrano nelle tasche dei lavoratori, in quanto esistono delle casistiche, seppur remote, che possono portare alla perdita di questo diritto.
D’altronde, potrebbe succedere che il datore di lavoro, per noncuranza delle regole o semplicemente per difficoltà economiche, non accantoni il Tfr come dovrebbe. O anche che l’azienda, prima di saldare quanto dovuto ai dipendenti, finisca travolta da un fallimento. Sono situazioni diverse, ma accomunate da un’unica conseguenza: il lavoratore potrebbe rimanere senza il proprio Tfr.
Davanti a questi scenari, la legge offre però strumenti precisi per non perdere il proprio diritto. E se da un lato esiste la possibilità di agire contro il datore inadempiente, dall’altro, quando l’azienda chiude i battenti, entra in gioco il Fondo di Garanzia dell’Inps.
Tuttavia, capire cosa fare è fondamentale, così da essere certi di recuperare i soldi della liquidazione non pagati dal proprio datore di lavoro. A tal proposito, in questo articolo analizziamo cosa succede quando il Tfr non viene pagato perché il datore non lo ha versato o perché l’azienda è fallita, spiegando nel dettaglio come il lavoratore può far valere i propri diritti e ottenere quanto gli spetta. Senza commettere errori che possono costare caro.
Addio al Tfr se il datore di lavoro non lo versa
Come prima cosa, è bene sottolineare che il diritto al Tfr esiste indipendentemente dal fatto che il datore di lavoro lo accantoni regolarmente. La legge, infatti, stabilisce che il Tfr matura ogni anno sulla base della retribuzione percepita e deve essere corrisposto alla cessazione del rapporto di lavoro.
Tuttavia, non sono rari i casi in cui l’azienda non accantoni le somme dovute, lasciando il lavoratore in una situazione di incertezza. In queste circostanze, il lavoratore non perde automaticamente il proprio diritto, anzi, ha tutti gli strumenti per agire e recuperare quanto gli spetta.
Ma bisogna capire come muoversi, perché il confine tra riuscire a ottenere il Tfr e rischiare di non vederlo mai può essere sottile.
Il primo passo è sempre sollecitare il pagamento, inviando al datore una diffida scritta, anche tramite raccomandata o Pec, nella quale indicare in modo preciso la somma richiesta, la data di cessazione del rapporto di lavoro e ogni riferimento utile a ricostruire la propria posizione. E laddove il datore continui a non pagare, la strada successiva è quella di rivolgersi all’Ispettorato territoriale del lavoro per tentare una conciliazione.
Si tratta di una fase che, sebbene non sia obbligatoria, può rivelarsi più rapida e soprattutto meno onerosa rispetto a un’azione legale. Tuttavia, se anche il tentativo di conciliazione fallisce, non resta altra via che quella giudiziaria, dove esistono principalmente due opzioni: il decreto ingiuntivo, quando il credito è certo, liquido ed esigibile, oppure fare causa al datore di lavoro davanti al tribunale del Lavoro, qualora vi siano contestazioni sull’importo o sulla stessa esistenza del rapporto di lavoro.
Far valere il proprio diritto, quindi, è possibile. Ma attenzione, perché, nonostante la forza del diritto riconosciuto dalla legge, ci sono alcuni errori che possono compromettere la possibilità di recuperare il Tfr. Il più frequente è il mancato rispetto dei termini di prescrizione: il credito per il Tfr, infatti, si prescrive in 5 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Quindi, se nel frattempo il lavoratore non compie nessun atto interruttivo, come una diffida formale o un’azione legale, rischia di vedere estinto il proprio diritto per decorso del tempo.
Un altro errore comune è sottovalutare la necessità di conservare la documentazione utile a dimostrare il proprio credito. In caso di controversia, infatti, il lavoratore deve poter provare la durata del rapporto, la retribuzione percepita e, di conseguenza, l’importo del Tfr maturato. Se, ad esempio, non si dispone di buste paga, contratti o altri documenti, diventa molto più difficile, se non impossibile, ottenere giustizia in tribunale.
Infine, talvolta i lavoratori si accontentano di intese verbali o di somme inferiori, magari per timore di perdere tutto. Ma senza la tutela di un atto scritto o di un verbale di conciliazione, il rischio è che qualsiasi intesa si riveli inutile. Scelte simili, pur comprensibili in momenti di difficoltà, possono far perdere irrimediabilmente parte del Tfr, perché non sarà più possibile rivendicarne il saldo in un secondo momento.
Per questo è fondamentale non sottovalutare il problema: se ci si accorge che il datore non ha versato il Tfr, è importante farsi assistere da un legale o da un sindacato, così da evitare di perdere il diritto a quello che, a tutti gli effetti, è il frutto di anni di lavoro.
Addio al Tfr se l’azienda fallisce
Quando un’azienda fallisce o non ha più liquidità per pagare i propri dipendenti, molti lavoratori si convincono di aver perso per sempre il loro Tfr. In realtà non è proprio così in quanto la legge prevede una tutela importante: il Fondo di Garanzia dell’Inps, nato proprio per evitare che i lavoratori restino senza nulla in tasca.
Il diritto al Tfr, infatti, non si estingue nemmeno davanti al fallimento di un’azienda; ma per poterlo ottenere occorre seguire una procedura ben precisa dal momento che il Fondo non interviene in automatico. È necessario, infatti, che il rapporto di lavoro sia cessato e che sia stato accertato lo stato di insolvenza del datore di lavoro attraverso una procedura concorsuale come il fallimento, il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale.
Se però l’azienda non è formalmente fallita o non rientra in nessuna procedura concorsuale, la situazione diventa ancora più complicata. In questi casi, il lavoratore deve prima tentare di recuperare il proprio credito tramite azioni esecutive, come il pignoramento dei beni aziendali o personali del datore di lavoro. Solo quando questi tentativi risultano infruttuosi, si può dimostrare che il datore non ha beni sufficienti a soddisfare il credito e chiedere l’intervento del Fondo.
Tuttavia, anche quando tutti i requisiti sono rispettati, il percorso per chiedere il Tfr al Fondo di Garanzia Inps non è sempre semplice, tanto che possono passare mesi, se non anni, prima di ottenere una risposta definitiva e ricevere le somme dovute.
In più, il Fondo richiede una documentazione precisa, come lo stato passivo del fallimento, eventuali verbali di pignoramento negativo, buste paga, contratti e altri atti indispensabili per dimostrare il diritto. Anche per questo motivo, quindi, conviene sempre farsi assistere da un esperto.
Un’altra insidia è rappresentata dalle situazioni in cui l’azienda viene ceduta a un nuovo titolare. In questi casi, è il nuovo datore di lavoro a rispondere anche per il Tfr maturato in precedenza. Se però fallisce soltanto il vecchio datore, il Fondo non interviene, lasciando il lavoratore esposto al rischio di non vedere nulla.
Quindi, per quanto il Fondo di Garanzia rappresenti una tutela fondamentale, non è comunque una garanzia assoluta. Chi si trova in queste situazioni deve muoversi subito e farsi assistere da professionisti esperti: esclusivamente così si può sperare di recuperare quanto spetta di diritto, evitando che il Tfr vada perso per sempre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA