Addio reversibilità, la Lega vuole toglierla subito alle unioni civili

Simone Micocci

12 Novembre 2025 - 18:11

Addio alla pensione di reversibilità? Dalla Lega arriva un grido di guerra alle unioni civili.

Addio reversibilità, la Lega vuole toglierla subito alle unioni civili

Novità per i superstiti titolari di pensione di reversibilità.

Tra gli emendamenti presentati alla legge di Bilancio potrebbe essercene uno che mira a negare il diritto alla reversibilità alle unioni civili. Ad anticiparlo è il senatore della Lega Claudio Borghi, anche se non è ancora chiaro se si tratti di una posizione personale o di un orientamento condiviso dal partito. Resta inoltre da capire se una simile proposta potrebbe superare il vaglio di legittimità costituzionale.

Per il momento, quindi, si sa soltanto che all’interno della Lega c’è chi vorrebbe eliminare la possibilità di riconoscere la pensione di reversibilità al partner superstite di un’unione civile, un diritto introdotto dalla legge n. 76 del 2016, che ha sancito la piena equiparazione delle unioni civili al matrimonio anche sul piano previdenziale. Non è d’accordo Claudio Borghi, che nel presentare alcune possibili modifiche alla legge di Bilancio non ha nascosto la propria intenzione: uno degli emendamenti a cui tiene di più, ha spiegato, è quello che punta all’abrogazione della reversibilità per le pensioni delle unioni civili, aggiungendo che “se vuoi la reversibilità, ti sposi”, dimenticando probabilmente che in Italia il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è consentito.

Come funziona oggi la reversibilità nelle coppie di fatto

Oggi la pensione di reversibilità spetta anche alle unioni civili introdotte con la legge n. 76 del 2016, la cosiddetta legge Cirinnà, alle stesse condizioni previste per i coniugi sposati.

A chiarirlo è stata la circolare Inps n. 5171 del 2016, nella quale l’Istituto ha riconosciuto piena equiparazione tra matrimonio e unione civile ai fini previdenziali. Anche la Corte di Ccassazione si è espressa in tal senso, ribadendo che negare il diritto alla reversibilità al partner superstite di un’unione civile violerebbe il principio di uguaglianza.

In pratica, oggi rientrano tra i beneficiari della pensione di reversibilità:

  • i figli del defunto entro i 18 anni (o di qualsiasi età, se inabili al lavoro e a carico del genitore);
  • il partner superstite di un’unione civile;
  • in mancanza di questi, i genitori del defunto o, successivamente, i fratelli celibi e sorelle nubili inabili e a carico.

L’importo spettante al partner superstite di un’unione civile è pari, in via generale, al 60% della pensione percepita o maturata dal compagno deceduto, secondo le regole previste dalla legge n. 335 del 1995. L’erogazione non è automatica: deve essere richiesta all’Inps presentando un’apposita domanda, online, tramite patronato o presso gli uffici territoriali, allegando la documentazione che attesta l’unione civile e il decesso del partner.

Diversa è la situazione delle convivenze di fatto, anch’esse disciplinate dalla legge Cirinnà ma prive di equiparazione al matrimonio. In questo caso, il convivente superstite non ha diritto alla pensione di reversibilità, poiché la norma non estende a queste unioni informali le tutele previdenziali riservate ai coniugi e alle unioni civili.

Addio alle coppie di fatto? Borghi dovrebbe vedersela con la Corte Costituzionale

Il senatore della Lega Claudio Borghi ha dichiarato che sarebbe favorevole a un emendamento alla legge di Bilancio per escludere le unioni civili dal diritto alla pensione di reversibilità, sostenendo che tale prestazione dovrebbe spettare solo a chi si sposa.

Un’intenzione che, se anche trovasse spazio in un testo normativo, rischierebbe però di scontrarsi con la Corte Costituzionale e con principi ormai consolidati nel nostro ordinamento. Il diritto alla reversibilità per le unioni civili non è infatti una scelta discrezionale del legislatore, ma il risultato di un lungo percorso giurisprudenziale. Già prima della legge Cirinnà, la Consulta aveva più volte affermato che le coppie omosessuali hanno diritto a una tutela equivalente a quella garantita alle coppie sposate, in virtù degli articoli 2, 3 e 29 della Costituzione. In particolare, con le sentenze n. 138 del 2010, n. 170 del 2014 e n. 221 del 2015, la Corte ha chiarito che non può esserci uno “status inferiore” per le unioni tra persone dello stesso sesso, poiché ciò costituirebbe una violazione del principio di uguaglianza.

La legge n. 76 del 2016, quindi, non ha fatto altro che tradurre in norma questi orientamenti, riconoscendo pieno riconoscimento e tutela alle unioni civili. Un’eventuale abrogazione selettiva, come quella prospettata da Borghi, produrrebbe quindi un evidente trattamento discriminatorio, difficilmente compatibile con la Costituzione e con gli standard europei che da tempo impongono parità di trattamento tra tutte le forme di unione riconosciute dallo Stato.

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