Il dibattito sulla titolarità dell’oro della Banca d’Italia riapre il confronto tra autonomia della banca centrale, sovranità dello Stato e fiducia dei mercati: chi deve decidere sull’oro italiano?
A chi devono appartenere le riserve auree dell’Italia?
E’ questa la domanda che [Money.it} pone ai suoi lettori, dopo la recente iniziativa parlamentare che propone di ribadire formalmente la titolarità statale sull’oro custodito dalla Banca d’Italia. Una discussione che va ben oltre i formalismi giuridici e tocca i temi più delicati della politica economica: autonomia della banca centrale, rapporto tra potere politico e stabilità finanziaria, fiducia dei mercati.
Non è la prima volta che si solleva il tema della “proprietà” dell’oro. Nel 2014 Giorgia Meloni, all’opposizione, chiedeva al governo Letta di confermare che le riserve auree appartengono al popolo italiano. Oggi il tema ritorna in un contesto ancora più sensibile: circa 2.452 tonnellate di oro, per un valore prossimo ai 198 miliardi di euro, e un quadro europeo che tutela espressamente l’indipendenza delle banche centrali nazionali, responsabili della gestione delle riserve nell’ambito del Sistema europeo delle banche centrali.
La sola ipotesi che il Governo possa disporre direttamente di tali riserve ha fatto emergere timori a Bruxelles e nei mercati. La credibilità della Banca d’Italia, la stabilità dei nostri titoli di Stato e la fiducia degli investitori internazionali passano anche dalla certezza che l’oro rimanga una garanzia al di sopra delle contingenze politiche. Senza contare i possibili rischi legali: la Commissione UE e la BCE potrebbero ritenere tale intervento incompatibile con i Trattati. C’è poi una questione tecnica: l’oro non si vende senza conseguenze, soprattutto in un contesto geopolitico già fragile. Una sua gestione politica potrebbe provocare effetti indesiderati e perdite di valore.
Perché la politica italiana torna a guardare all’oro? Perché l’oro rappresenta potere. È un simbolo di sovranità nazionale, un elemento negoziale con Bruxelles, un argomento che parla direttamente alla percezione di sicurezza economica dell’opinione pubblica. Rivendicarne la proprietà significa affermare l’idea che lo Stato debba riappropriarsi dei propri strumenti strategici. Ma significa anche toccare un equilibrio consolidato tra politica e tecnocrazia, costruito negli anni per evitare che le decisioni sulla moneta vengano piegate alle esigenze immediate del consenso.
E così, una riserva che non si tocca e non si spende diventa il centro di un dibattito che riguarda l’identità economica del Paese. È giusto difendere rigorosamente l’autonomia della Banca d’Italia o è arrivato il momento di riaffermare una sovranità piena su un bene così strategico? È un confronto che riguarda direttamente i cittadini, e che richiede una scelta di principio.
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