La maggioranza netta rivela come l’oro sia percepito non solo come un patrimonio finanziario, ma come un simbolo identitario di sovranità nazionale. Il risultato del sondaggio di Money.it
Il sondaggio di Money.it offre un verdetto chiaro: per il 65% dei lettori le riserve auree italiane devono appartenere allo Stato, mentre il 33% attribuisce la titolarità alla Banca d’Italia e solo il 2% alla BCE. Una maggioranza netta che rivela come l’oro sia percepito non solo come un patrimonio finanziario, ma come un simbolo identitario di sovranità nazionale.
Riserve auree dell’Italia, 6 su 10 vogliono che sia dello Stato
Il sondaggio di Money.it
La questione è tornata al centro del dibattito dopo l’iniziativa parlamentare volta a ribadire formalmente la proprietà statale dell’oro custodito da Bankitalia. Un tema che apparentemente riguarda una definizione giuridica, ma che in realtà tocca equilibri profondi: il rapporto tra politica e banca centrale, la credibilità del Paese sui mercati, il ruolo dell’Italia nel sistema europeo.
Non stupisce che l’opinione pubblica sia orientata a favore dello Stato. L’oro viene vissuto come un bene collettivo, un “tesoro” che appartiene alla comunità nazionale. Una percezione rafforzata dal clima di incertezza economica e geopolitica: quando tutto sembra instabile, la tentazione di ancorarsi a ciò che è tangibile e storico – come le 2.452 tonnellate d’oro italiane – diventa naturale.
Ma se la politica guarda all’oro come a uno strumento di rafforzamento della sovranità, le implicazioni non sono affatto semplici. L’Unione Europea tutela in modo esplicito l’indipendenza delle banche centrali nazionali, che non è un capriccio tecnico ma un presidio di stabilità. L’idea che un governo possa disporre, anche solo teoricamente, delle riserve auree ha già sollevato perplessità a Bruxelles e tra gli investitori. L’oro, infatti, non è pensato per essere utilizzato a discrezione della politica: è una garanzia di lungo periodo, un elemento di credibilità finanziaria che vive al di sopra delle contingenze.
Non mancano inoltre possibili rischi giuridici: un intervento che ridisegni la titolarità dell’oro potrebbe essere considerato incompatibile con i Trattati, aprendo un fronte di conflitto istituzionale proprio in un momento in cui la stabilità finanziaria resta cruciale.
La domanda centrale, quindi, va oltre la lettera del sondaggio. Non si tratta solo di stabilire a chi “appartiene” l’oro, ma di capire quale modello di governance economica l’Italia vuole scegliere. Maggiore controllo politico sulle risorse strategiche o tutela rigorosa dell’autonomia tecnica? Riaffermazione della sovranità o salvaguardia della credibilità sui mercati? Per molti cittadini la risposta sembra semplice, ma nella realtà istituzionale e finanziaria il confine è sottile.
L’oro è un bene che non si tocca e non si spende, ma che continua a evocare un immaginario potente. E proprio per questo, pur restando immobile nei caveau, si ritrova al centro di una discussione che riguarda la stessa identità economica del Paese.
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