Salario minimo, la Catalfo allo studio per l’approvazione

Sara Nicosia

19 Settembre 2019 - 16:35

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Il salario minimo come strumento per abbattere il fenomeno del working poor. Il nuovo ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, chiamata a portare avanti l’obiettivo di governo trovando un compromesso tra le proposte di 5 Stelle e Pd.

Salario minimo, la Catalfo allo studio per l’approvazione

Il salario minimo è uno dei punti caldi del programma di governo giallorosso e ora al tavolo delle trattative e delle decisioni, dopo il susseguirsi dei totonomi delle scorse settimane, si è seduta Nunzia Catalfo, la mente dietro al reddito di cittadinanza e si, anche al salario minimo.

Nessuno meglio di lei conosce i documenti dietro la proposta e, da brava stakanovista, ha cambiato sede di lavoro, da Palazzo Madama a via Vittorio Veneto, ma non l’impegno che si è fatto presente sin dal primo giorno della sua nomina.

Il percorso della Catalfi è già ben delineato, si comincia dalle “certezze” portando, entro fine mese, a pieno regime la fase 2 del Reddito di cittadinanza che ha subito non pochi ritardi e inconvenienti. E nel contempo partire con la proposta di legge sul salario minimo.

La misura potrebbe trovare spazio nel disegno di legge di Bilancio 2020 o, forse più probabilmente, in uno dei decreti a lei collegata. Ecco allora la domanda scottante: a che livello sarà fissata la retribuzione minima oraria considerato lo strumento per la lotta al working poor?

Tra i 5 Stelle e i dem l’intesa non sembra essere un problema, ma la strada attraverso cui realizzare la legge sicuramente lo è. L’Italia in fondo ha provato ad arrivare al salario minimo già qualche anno fa quando si è affacciata l’emergenza dei contratti pirata.

Il nobile intento ha però trovato sempre lo stesso ostacolo alla sua realizzazione. Ai tempi del Jobs Act a fermare l’approdo del salario minimo, unica norma che non trovò attuazione, furono le parti sociali di Confindustria; più avanti alla lista si è aggiunta la Lega, spinta più dagli umori industriali ancora poco propensi alla faccenda che da una mancanza di convinzione.

A chiudere il cerchio i sindacati che a più riprese hanno espresso la loro contrarietà; unica eccezione è che la misura non interessi le aree scoperte dalla contrattazione collettiva o dove non siano applicati i Ccnl e che la legge riconosca l’efficacia erga omnes, a tutti i lavoratori, ai contratti collettivi nazionali di lavoro.

Una cosa è certa, il salario minimo s’ha da fare. Trovare una soluzione non sarà una passeggiata di salute, soprattutto considerando che, si l’intesa c’è ma con vedute abbastanza diverse che rendono ancora più ripida la strada verso la nascita di una legge. Vediamo.

Salario minimo, la quasi intesa di M5S e Pd

Il confronto giallorosso non partirà quindi da zero, per trovare la “retribuzione giusta”, come indicato dal punto 4 del programma di governo, si comincerà dai due disegni di legge che già sono sul tavolo politico della commissione Lavoro al Senato.

Questo però non semplifica troppo il discorso dato che, sebbene ci sia un progetto comune, i due alleati di governo hanno anche delle visioni diverse sul da farsi. I 5 Stelle sono partiti, nel corso dello scorso governo con la Lega, dall’idea di fissare il salario minimo a 9 euro netti l’ora.

Nella cifra ipotizzata non sarebbero compresi ratei di ferie e tredicesima, una questione di natura tecnica che fa una grande differenza dato che alla fine dei conti il salario minimo sarebbe molto più generoso.

Il Pd non da importi, rimane invece allineato con Cgil, Cisl e Uil nell’idea di dare efficacia erga omnes, quindi a tutti i lavoratori, ai contratti collettivi firmati dai sindacati più rappresentativi.

La soluzione proposta dallo stesso programma di governo di M5S e Pd, dall’altra parte, va proprio in questa direzione dato che parla della necessità di “individuare una retribuzione giusta garantendo le tutele massime a beneficio dei lavoratori, anche attraverso il meccanismo dell’efficacia erga omnes dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative”.

Una formula vaga, come la maggior parte dei 29 punti indicati nel programma, ma che ci da qualche indicazione sugli effetti: a livello tecnico e politico. Da una parte si riuscirebbe a garantire a tutti non solo un salario minimo, ma anche il diritto a ferie e malattia, altrimenti compresso nel contratto pirata.

Dall’altra si farebbe un piccolo sgambetto politico che ha il sapore della vendetta dato che, di fatto, si rafforzerebbero i sindacati maggiori a scapito delle sigle minore come l’Ugl, in stretta alleanza con la Lega a partire dallo scorso governo gialloverde.

Gli ostacoli al salario minimo

Ad ogni modo, la finalità dichiarata di entrambi i testi è quella di contrastare il fenomeno del working poor, coloro che lavorano “in regola” ma rimangono con un reddito sotto la soglia di povertà; in Italia secondo i dati Eurostat 2018 sono l’11,7% a trovarsi in questa condizione contro la media europea del 9,6%.

Per arrivare a dama è necessario trovare una sintesi tra i due testi, evitando inoltre di appesantire il costo del lavoro che, al momento, si trova in una fase critica che potrebbe far sprofondare chi oggi si trova in una situazione limite. Vediamo nel dettaglio i principali ostacoli:

  • Secondo i dati Istat, sono circa 2,9 milioni i lavoratori con una retribuzione minima inferiore a 9 euro l’ora. Allo stesso tempo però l’adozione del salario minimo di 9 euro lordi sarebbe il più alto tra i Paese Ocse che attualmente lo percepiscono. La possibile soluzione sarebbe compensare l’aumento del salario con il taglio del cuneo fiscale. Inoltre, bisognerebbe decidere se adottare una cifra minima stabilita dal Parlamento, o se affidarsi ai singoli Ccnl; che però hanno anche retribuzioni inferiori ai 9 euro;
  • Nell’adozione di un salario minimo, secondo i due decreti legge, bisognerebbe rafforzare i contratti collettivi delle sigle più importanti di sindacati e imprese. Il fine? Mandare all’aria i contratti pirata che fissano la retribuzione oraria a pochi euro. L’inghippo? Trovare un percorso condiviso che individui le cosiddette sigle più rappresentative;
  • Intoppo sugli autonomi. I 5 Stelle vogliono estendere il salario minimo ai collaboratori, il Pd parla invece di lavoratori subordinati;
  • Il controllo del lavoro in nero. In Senato non è sfuggito che l’altra faccia della medaglia dell’approvazione del salario minimo deve essere il potenziamento dei controlli sul lavoro irregolare, altrimenti la “giusta” retribuzione rimane solo una frase nero su bianco.

Infine si parla di coperture, il tema forse più rovente dato che i lavori sono ancora in corso ma la necessità di fermare e stabilizzare l’Iva è più urgente che mai; nessuna manovra sul salario minimo sarà possibile prima di capire come gestire le risorse.

Il precedente governo gialloverde aveva pensato di ricorrere ad una serie di aumenti limitati, quindi solo su alcuni prodotti. Il nuovo governo sembra però essere di altro avviso e, risorse permettendo, vorrebbe evitare del tutto il blocco degli aumenti.

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