Il più grande porto merci mondiale chiude per Covid, l’inflazione rischia di esplodere

Mauro Bottarelli

13/08/2021

13/08/2021 - 11:48

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Il blocco nell’hub cinese di Ningbo ha già costretto le compagnie a prevedere ritardi e re-indirizzare rotte. E mentre il PPI esplode sia in Cina che in Usa, il prezzo dell’alluminio suona l’allarme

Il più grande porto merci mondiale chiude per Covid, l’inflazione rischia di esplodere

La notizia non è di quelle destinate ad aprire le edizioni dei telegiornali ma le sue potenziali ripercussioni su commercio globale ed economia reale sono devastanti. Il più grande porto marittimo del mondo per tonnellaggio merci (e il terzo in termini di traffico di container) ha chiuso uno dei suoi principali terminal a seguito di un caso confermato di Covid-19. Due giorni fa, un impiegato presso il terminal di Meishan del porto cinese di Ningbo-Zhoushan è risultato positivo al coronavirus, nonostante avesse completato il ciclo di vaccinazione con il vaccino Sinovac, stando a quanto riportato dal South China Morning Post.

Le autorità portuali hanno immediatamente bloccato tutte le operazioni nel terminal a tempo indeterminato, reindirizzando parte delle operazioni in altri hub. Il tempo medio di attesa per le navi nel porto di Ningbo è già salito a 1-3 giorni, stando a quanto dichiarato da Akhil Nair, vicepresidente della gestione dei vettori globali di Seko Logistics: Reindirizzeranno il maggior numero possibile di servizi ad altri terminali di Ningbo ma c’è ancora il timore che inizi a formarsi una certa congestione. In quel caso, il tempo medio di attesa potrebbe aumentare come successo a Yantian, arrivando a 7-9 giorni. Praticamente, un disastro. Come certificato da questi due grafici,

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Fonte: Bloomberg/Zerohedge

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Fonte: Bloomberg
i quali mettono in prospettiva l’impatto e il contesto in cui si è venuta a sostanziare questa ennesima criticità sulla supply chain globale.

Non a caso, le principali compagnie di navigazione hanno cominciato a diramare i primi avvisi ai clienti riguardo possibili disagi. La prima è stata CMA CGM, la quale ieri ha pubblicato una nota in cui confermava come alcune navi saranno reindirizzate a Shanghai o salteranno gli scali a Ningbo, mentre Hapag-Lloyd prevede che la sospensione causerà ritardi in alcune partenze già programmate. Decisamente allarmato il commento di Lars Jensen, esperto di trasporto marittimo e CeO della Vespucci Maritime: Potrebbe sostanziarsi un impatto simile a quello generato a Yantian, dove il porto è stato parzialmente chiuso per quasi un mese. Ne deriverebbero problemi significativi sia per le esportazioni che per il movimento di container vuoti nella regione.

Timore confermato da Otto Schacht, executive vice president di Sea Logistics, a detta del quale, se è troppo presto per dire cosa questo significhi per le catene di approvvigionamento globali, ciò che appare certo fin da ora è che con ogni giorno di chiusura in più presuppone il concreto rischio che gli effetti si facciano sentire presto in tutto il mondo. E questi altri due grafici

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Fonte: Bloomberg

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Fonte: Bloomberg
mostrano quale sia il carico detonante su cui una situazione simile va a poggiarsi: gli indici dei prezzi alla produzione sono letteralmente esplosi nell’ultima rilevazione sia in Cina che negli Usa, poiché se Pechino deve fare i conti con un +9% su base annua a luglio, ieri il PPI negli Stati Uniti ha segnato l’aumento più netto da quando viene tracciata la serie storica, +7,8% sull’anno e +1% su base mensile. E questo altro grafico

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Fonte: Bloomberg
contestualizza ulteriormente il quadro per l’economia reale statunitense e per le dinamiche dei prezzi: con lo spread fra CPI (prezzi al consumo) e PPI (prezzi alla produzione) in crescita a dir poco esponenziale, i margini per le aziende stanno già oggi terminando sotto una pressione sempre meno sostenibile.

Tradotto, manca pochissimo ormai prima che quegli aumenti vengano giocoforza trasferiti lungo la catena di filiera e giungano sotto forma di rincari al consumatore finale. Il tutto, almeno negli Stati Uniti, alla vigilia del termine dei programmi di sostegno a reddito e disoccupazione, atteso per il 6 settembre. Ma non basta. Perché un altro metallo industriale di primaria importanza si è appena aggiunto all’elenco di quelli terminati nella spirale rialzista dell’inflazione da commodities, le cosiddette billette di alluminio.

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Fonte: South China Morning Post
Ovvero, un semilavorato destinato all’utilizzo negli impianti di estrusione per essere trasformato in profilati con i più disparati impieghi: dai box doccia alle strutture di rinforzo per moduli prefabbricati, fino a infissi, porte, pannelli, finestre, serrature, vetrine, ante, zanzariere, griglie e sostegni per porte blindate.

Nemmeno a dirlo, i settori di impiego vanno dall’automotive all’elettronica, dalla segnaletica ai trasporti e naturalmente nell’edilizia (serramenti su tutto). Questi due grafici

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Fonte: Bloomberg

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Fonte: Bloomberg/Zerohedge
mostrano il quadro prospettico attuale per questo metallo di fondamentale importanza: se il combinato di prezzo e premio per gli acquirenti europei ha portato il costo delle billette di alluminio a sfondare il precedente record del 2007-2008, raggiungendo i 3.750 dollari a tonnellata, la seconda immagine pare sgombrare definitivamente il campo dall’interessato equivoco sulla presunta transitorietà dell’inflazione e sulla sua natura meramente speculativa di breve termine.

La correlazione fra aumento dello stato patrimoniale della Fed (tradotto, Qe) e quello del Bloomberg Industrial Metals Index è non solo intuitiva ma addirittura imbarazzante. Se per caso la crisi al porto di Ningbo-Zhoushan non dovesse risolversi in tempi brevi, la situazione - già a dir poco precaria per i costi di chi produce - potrebbe precipitare. A quel punto, evitare una discussione concreta sull’inizio del taper dei programmi di stimolo potrebbe davvero rivelarsi impossibile. Se non irresponsabile.

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