Il prezzo del petrolio è a un livello molto alto sia per il WTI americano che per il Brent quotato a Londra. L’incognita Kurdistan mobilita il Medio-oriente e potrebbe influire sull’oro nero.
Il prezzo del petrolio è molto vicino a cambiare la propria quotazione in senso ribassista sia sul greggio americano che sul Brent inglese. Infatti entrambe le quotazioni vivono un trend rialzista da un mese e siamo vicini al punto di inversione. Una possibile separazione del Kurdistan iracheno da Baghdad potrebbe far precipitare il prezzo del petrolio.
Petrolio: atteso ribasso del prezzo
Il prezzo del petrolio è aumentato molto nel mese di settembre grazie ad alcuni fattori. L’uragano Harvey e l’uragano Irma hanno lasciato il segno facendo diminuire fisiologicamente la produzione del greggio americano. Inoltre nel mese di agosto il WTI aveva subito un crollo, mentre il Brent viveva una fase di consolidazione, pronto a un rapido apprezzamento, avvenuto infatti nel mese successivo.
Così il greggio americano è passato da 46,21$ al barile del 31 agosto a 52,85$ del 28 settembre, mentre nello stesso periodo il Brent è passato da 50,22$ a 58,28$.
Dall’analisi grafica possiamo notare come ci sia ancora margine per salire per entrambe le quotazioni, che nell’ultimo periodo hanno già subito un’inflessione a causa della forza del dollaro.
Il punto critico per il WTI americano è situato a 53,25$, dato che non si registrava dal 24 maggio; mentre per il Brent è collocato a 59,62$, che non raggiungeva dal lontano 12 dicembre 2016.
Solo il superamento di queste resistenze potrebbe far apprezzare ancora di più le due quotazioni, l’idea principale resta però ribassista già da ora. Per il WTI lo scoglio da superare è 50,84$, mentre per il Brent è 55,45$.
Ricapitolando, sul lungo termine abbiamo le seguenti resistenze e supporti:
Resistenze: WTI 53,25$ / Brent 59,62$
Supporti: WTI 50,84$ / Brent 55,45$
Petrolio WTI
Petrolio Brent
Incognita Kurdistan indipendente, quali conseguenze sul petrolio?
Il referendum sull’indipendenza del Kurdistan ha un ruolo cruciale non solo per la situazione geopolitica, ma anche per quella economica, in particolare sul petrolio.
Il referendum era solo consultivo, ma per le intenzioni del presidente del Kurdistan iracheno Mas’ud Barzani era il preludio di un’indipendenza formale da Baghdad.
Ciò ha scatenato la reazione non solo dell’Iraq, ma anche della Turchia e dell’Iran, confinanti con il Kurdistan iracheno e che in comune hanno il timore di una possibile ribellione dei curdi all’interno dei propri confini nazionali. Infatti numerose comunità di questo popolo vivono anche in Iran e Turchia, quest’ultima in aperto conflitto con i curdi in Siria e nella Turchia orientale.
Come primo passo tutti i confini sono stati chiusi, isolando il Kurdistan e minacciando un embargo.
In questa regione viene prodotto il 10% del petrolio iracheno, ma se dovessimo considerare i territori sottratti all’Isis e ora controllati direttamente dai curdi la quota raggiungerebbe il 20%.
Gli equilibri verrebbero alterati in quanto l’Iraq, paese Opec, non potrebbe più gestire il 20% del suo attuale greggio.
Come se non bastasse Ergogan, presidente della Turchia, ha minacciato di chiudere l’oleodotto che dal Kurdistan passa in territorio turco e raggiunge l’Europa.
Anche se non si giungesse a un vero e proprio blocco economico e a nessuna azione militare, la minaccia perpetua non gioverebbe ai mercati.
Il prezzo del petrolio potrebbe aumentare se il greggio curdo non dovesse arrivare sul mercato, ma potrebbe invece diminuire qualora dovesse farlo sfuggendo ai tagli di produzione dell’Opec, non essendo il Kurdistan, per ora, un paese membro.
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