Movimento 5 Stelle: tutte le promesse non mantenute in questi mesi di governo

Alessandro Cipolla

10 Gennaio 2019 - 09:18

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Tutte le promesse fatte dal Movimento 5 Stelle quando era all’opposizione che non sono state mantenute in questi mesi di governo: dall’Ilva fino alle trivelle passando per le Banche.

Movimento 5 Stelle: tutte le promesse non mantenute in questi mesi di governo

A conti fatti, il più grande cambiamento finora sembrerebbe essere stato quello tra quanto promesso nel programma elettorale e quanto poi effettivamente fatto in questi mesi di governo gialloverde.

Dall’Ilva fino al Tap passando per le trivelle e le Banche, senza dimenticare l’alleanza con la Lega, sono tante infatti le promesse fatte in passato dal Movimento 5 Stelle che non sono state mantenute in questo primo scorcio di legislatura.

Le promesse non mantenute dal Movimento 5 Stelle

Tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il proverbiale mare. Quando poi si tratta di politica ecco che questo può diventare anche un Oceano. La vita di un partito di opposizione è tutto sommato abbastanza semplice, basta puntare il dito contro i tentennamenti dell’esecutivo di turno.

Quando però si è chiamati a governare, perché ti hanno votato quasi 11 milioni di cittadini, ecco però che tutto si fa più complicato: dalle parole si deve passare ai fatti, cosa che non è sempre facile quando si sono presi degli impegni non da poco.

Da quando è comparso sulla scena politica, il Movimento 5 Stelle ha sempre avuto il grande merito di schierarsi in maniera netta su temi anche spinosi, non risparmiando invece attacchi alla “casta” sempre pronta a difendere nefandezze e privilegi.

Vediamo allora tutte le promesse che, dopo il 4 marzo, non sono state mantenute dal Movimento 5 Stelle.

Lega

Sia ben chiaro, già prima delle elezioni i pentastellati cambiando lo Statuto avevano aperto a possibili alleanze post voto per formare un governo. Questo non toglie che il matrimonio con la Lega è grottesco se si pensa a quanto dichiarato in passato.

Il Movimento 5 Stelle non si alleerà mai con i partiti politici che hanno contribuito ai disastri in Italia, la Lega ha governato tanti anni con Berlusconi e andrà per la sua strada e noi per conto nostro”. Alessandro Di Battista dixit.

Ancora più chiaro è stato Luigi Di Maio, che da buon campano memore dei “Vesuvio lavali con il fuoco” dichiarava di non aver nessuna intenzione di “far parte di un Movimento che si allea con la Lega Nord”.

Evidente dopo che Salvini ha cambiato il nome in soltanto Lega per il capo politico dei 5 Stelle tutto si è risolto, visto che lo scorso giugno è nato il governo carioca in tandem con il carroccio.

Premier non eletto

Da sempre il Movimento 5 Stelle si è detto contrario ai Presidenti del Consiglio non eletti, ovvero i premier tecnici alla Mario Monti per intenderci. Concetto ribadito anche nell’immediato post-voto da Luigi Di Maio quando non sembrava esserci all’orizzonte una possibile maggioranza.

QUI IL VIDEO DI DI MAIO

Barricate alzate quindi nel momento in cui si paventava l’ipotesi di Carlo Cottarelli a Palazzo Chigi, ma alla fine per far nascere il governo con la Lega si è dovuti arrivare al compromesso che il premier non sarebbe stato di nessuno dei due partiti.

Ecco dunque il via libera a Giuseppe Conte, un Presidente del Consiglio che non è stato eletto da nessuno nel senso che non è un parlamentare, visto che ovviamente in Italia non è prevista l’elezione diretta del premier.

Ilva

Appena nato il governo gialloverde, ecco che una delle prime questioni sul tavolo del neo ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico è stata la questione relativa all’Ilva di Taranto.

In un articolo comparso sul Blog delle Stelle in data 19 maggio 2018 si legge che “nel contratto c’è scritto chiaramente che si lavorerà per la chiusura dell’Ilva”. Posizione questa da sempre portata avanti dal Movimento 5 Stelle, specie nell’ultima campagna elettorale.

QUI L’ARTICOLO COMPLETO

Nel contratto di governo quindi si parlava di “riconversione economica”, ma lo scorso 6 settembre è stato dato il via libera all’accordo con la multinazionale ArcelorMittal: niente chiusura o riconversione quindi per l’Ilva, con la conferma sostanziale di quanto aveva già mediato lo scorso governo.

Tap

Molto celebre è l’arringa di Alessandro Di Battista a San Foca ad aprile 2017, con l’ex deputato che prometteva di bloccare il progetto Tap in “due settimane” con il Movimento 5 Stelle al governo.

A fine ottobre 2018 il governo però ha dato il via libera al Tap, visto che secondo il premier Conte “interrompere la realizzazione dell’opera comporterebbe costi insostenibili, pari a decine di miliardi di euro”.

Per i comitati No Tap si è trattato comunque di una presa in giro, con i 5 Stelle che hanno chiesto scusa ai pugliesi anche perché alle ultime elezioni politiche i pentastellati hanno fatto il pieno di voti nella regione.

Trivelle

Anche per le trivelle la vicenda è simile a quella del Tap. Da sempre i 5 Stelle si sono schierati contro le ricerche petrolifere nei mari italiani, con particolare riferimento a quelle riguardanti il mar Ionio.

A fine anno il Mise, ministero diretto da Di Maio, ha invece dato il disco verde a 36 autorizzazioni di cui tre riguardanti lo Ionio, dando la colpa agli accordi presi dal precedente governo. Anche qui i movimenti No Triv hanno gridato al tradimento.

Adesso però sembrerebbe che il governo sia pronto a una repentina marcia indietro, con un emendamento ad hoc inserito nel Decreto Semplificazioni per bloccare i titoli pendenti. Qualcosa quindi si poteva fare.

Banche

Tra i tanti terreni di scontro durante la passata legislatura tra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico, uno dei temi più infuocati è stato senza dubbio quello delle Banche dopo i salvataggi di MPS e delle Venete.

Anche qui i pentastellati hanno sempre ribadito come, con loro al governo, lo Stato non avrebbe dato più un euro alle Banche. Adesso che al comando ci sono veramente loro, il comportamento per il caso Carige però non è stato molto differente tanto che il decreto licenziato dal governo Conte è quasi identico a quello del governo Gentiloni per le Venete.

In teoria nell’immediato lo Stato non ci mette un euro, ma per salvare l’istituto genovese è stata decisa una garanzia statale sui bond e in caso di mancata ricapitalizzazione. Senza nuovi acquirenti, sarà impossibile non aprire il portafoglio.

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