Immigrati nel pubblico impiego: la rivoluzione che farà discutere parte da Bruxelles

Valentina Pennacchio

4 Settembre 2013 - 16:17

Immigrati nel pubblico impiego: la rivoluzione che farà discutere parte da Bruxelles

Immigrati nel pubblico impiego: la rivoluzione che farà discutere scatta oggi ed è stata innescata dalla Legge europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 97). Un’importante passo avanti in nome dell’integrazione, nonché una vittoria per il ministro Cécile Kyenge, che ha così commentato:

“Tutti quegli stranieri che vivono il Paese come la propria terra possono 
indubbiamente rappresentare un valore aggiunto e strategico in ambito
economico, culturale e sociale”.

La direttiva europea è stata ampiamente ignorata dall’Italia, che stava per finire nel mirino di una grave procedura di infrazione, e farà si che il posto fisso, ormai chimera nel nostro Paese, potrà essere ambito anche dagli immigrati, i quali potranno partecipare ai concorsi nella P.A. e quindi ottenere posti da cui prima erano assolutamente esclusi: negli ospedali, nelle scuole, nelle aziende pubbliche.

Non potranno invece accedere alla magistratura o intraprendere una carriera militare perché potranno aspirare esclusivamente a funzioni che

“non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale”.

Cosa dice la legge

Grazie all’articolo 7 della legge suddetta potranno accedere al pubblico impiego:

  • familiari stranieri di cittadini dell’Unione Europea;
  • gli immigrati con carta di soggiorno (a lunga permanenza);
  • i rifugiati;
  • i titolari di un permesso di protezione sussidiaria.

Non rientrano nella legge gli immigrati in possesso di un semplice permesso di soggiorno. Ricordiamo che ottenere la carta di soggiorno non è un’operazione così facile per gli immigrati, che per ottenerla dovranno dimostrare:

  • 5 anni di presenza regolare sul territorio italiano;
  • un reddito sufficiente per il proprio sostentamento e per la propria famiglia;
  • un’ottima conoscenza della lingua italiana superando un esame.

A ciò si aggiunge il pagamento di una tassa di circa 200 euro. Insomma condizioni che non tutti hanno la costanza, la pazienza o la voglia di dimostrare. Almeno fin’ora.

Da oggi una nuova novità attende gli immigrati, lo sancisce l’articolo 13 della legge, come spiega la CGIL:

“Chi ha un permesso di soggiorno e ha a carico almeno 3 figli, ed è a basso reddito avrà diritto all’assegno INPS per le famiglie numerose".

Le reazioni

La notizia è stata accolta con entusiasmo da CGIL e UIL come trionfo di un “principio di civiltà e democrazia”, ma duramente osteggiata dalla Lega, come era facilmente intuibile, che ha espresso tutto il suo disappunto tramite le parole di Massimiliano Fedriga, membro della commissione Lavoro di Montecitorio:

“Ci troviamo in un periodo di
 crisi occupazionale ed economica tale che ampliare la platea di coloro 
che possono accedere ai concorsi pubblici è un’operazione puramente demagogica”.

Una notizia come questa non può che creare un’irrimediabile frattura nell’opinione pubblica.

Ci saranno coloro che tireranno un sospiro di sollievo perché sentiranno di vivere in un Paese finalmente civile che riconosce equi diritti a coloro che vi abitano.

Allo stesso tempo ci saranno coloro che si sentiranno offesi perché in una situazione sociale ed economica così sfavorevole, il precariato, la disoccupazione alle stelle, i conti dell’INPS in rosso, l’Italia sceglie di percorrere una strada che causa non poche incombenze.

Il dibattito è accesso e di sicuro di non facile soluzione.

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