La Corea del Nord, il Venezuela o il tetto del debito degli Stati Uniti sono tutti considerati dei “rischi”, secondo l’opinione di veterani di Wall Street come Jeff Gundlach e Ray Dalio. Ma per quale motivo?
Sempre più investitori si stanno unendo al gruppo di veterani di Wall Street, da Jeff Gundlach a Ray Dalio, e al loro allarme per cui gli asset più rischiosi sono sopravvalutati.
I motivi, secondo loro, sarebbero vari: l’aumento della crisi politica sottolineato dai recenti attentati terroristici a Barcellona e dalla violenza razzista a Charlottesville, in Virginia, nonché il caos in Corea del Nord e in Venezuela. Per non menzionare, poi, l’imprevedibilità degli Stati Uniti, dove il presidente Donald Trump ha iniziato una faida con i membri del Congresso prima del voto per aumentare il tetto del debito del paese.
Come sappiamo, gli Stati Unito sono degli attori chiave nello scenario dei Paesi emergenti, che spesso hanno il proprio debito denominato in dollari statunitensi.
Tra i beni tenuti d’occhio troviamo le obbligazioni dei mercati emergenti, che solo per la terza volta nella storia stanno rendendo meno del debito-spazzatura degli Stati Uniti. Alcuni dei più grandi gestori di fondi al mondo, da Pacific Investment Management Co. a T. Rowe Price Group Inc., consigliano agli investitori di ridurre il rischio tagliando le partecipazioni negli asset dei Paesi in via di sviluppo.
L’opinione diffusa degli analisti è che il rischio geopolitico rimane alto, soprattutto negli Stati Uniti. Le valutazioni sui mercati totalmente a rischio, tra cui i mercati emergenti, sono abbastanza certe e questo sarebbe il momento adatto per agire uscendo dai propri posizionamenti.
Gundlach, co-fondatore e amministratore delegato di DoubleLine Capital, ha detto all’inizio di questo mese che i trader dovrebbero gradualmente "andare verso l’uscita" sui titoli più rischiosi. Dalio, fondatore di Bridgewater Associates, ha rivelato di stare riducendo tatticamente il rischio, dato che un aumento del populismo in tutto il mondo ha contribuito ad intensificare i conflitti esistenti "al punto che la lotta fino alla morte è quasi certamente più probabile di una riconciliazione". Il manager miliardario, che ha puntato sull’oro come una sicurezza contro il rischio politico in aumento, ha confrontato l’attuale divario economico e sociale al 1937, due anni prima dell’inizio della seconda guerra mondiale.
Anche due anni fa Dalio ha fatto riferimento al 1937 quando ha avvertito che un rally nelle attività a rischio, incoraggiato da bassi tassi di interesse e da una politica monetaria libera, sarebbe finito in una "recessione autoindotta". Queste parole hanno preceduto un calo del 12% nell’indice S&P 500 e un calo del 5% nelle obbligazioni in dollari del mercato emergente alla fine dell’anno. (Anche se nel lungo periodo, queste attività hanno riguadagnato rispettivamente il 18% e i 19% da allora).
Secondo gli analisti, i rischi maggiori si vedono in Sud Africa, Brasile e Turchia, dove le economie non hanno subito i cambiamenti necessari per migliorare una potenziale crescita. Alcuni dei mercati emergenti sono diventati più rischiosi di altri: quando la fiducia degli investitori scende, i rischi nei paesi in via di sviluppo come ad esempio colpi di stato, corruzione istituzionalizzata, svalutazione e rifiuto di riconoscere il proprio debito sono dei campanelli d’allarme per gli investitori. Un esempio su tutti sono le obbligazioni argentine, che maturano in 100 anni nonostante la nazione sia in default cronico.
I segni che qualcosa possa andare storto ci sono ma probabilmente non tanto presto quanto ci si aspetta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA