Oggi riprendono le trattative sul futuro della Grecia con una nuova riunione dell’Eurogruppo, Mercoledì è prevista una riunione cruciale della BCE, il reale pericolo da evitare non è il fallimento della Grecia ma il contagio all’Eurozona.
La riunione straordinaria di oggi dell’Eurogruppo, in cui riprenderanno le trattative per decidere sul futuro della Grecia, è densa di interrogativi e di dubbi che ne rendono l’esito tutt’altro che scontato. Abbiamo già notato a tal proposito che le posizioni in campo rimangono di gran lunga differenti e un eventuale accordo sarà molto difficile da raggiungere.
Da un lato rimangono le posizioni tutt’altro che concilianti del nuovo governo greco. Tsipras ha, infatti, dichiarato, in un intervista al settimanale Stern che la Grecia non ha bisogno di nuovi prestiti ma soltanto di tempo per fare quelle riforme che consentiranno di riportare la Grecia alla crescita economica. A ciò si aggiungono recenti dichiarazioni del portavoce del nuovo governo greco, Gabriel Sakellaridis, che è tornato ad affermare che l’Esecutivo ellenico manterrà fede alle promesse fatte in campagna elettorale, evitando l’avvio di un nuovo programma di salvataggio.
Al di là delle parole di Tsipras, le riforme che il nuovo esecutivo greco intende mettere in campo richiederanno necessariamente nuova liquidità. Sul fronte delle politiche fiscali è stato chiarito che uno degli strumenti di maggior impatto sarà la caccia agli evasori, per la quale si sta approntando un piano congiunto con la Svizzera per la verifica dei trasferimenti avvenuti dalle banche elleniche alle banche elvetiche. A più riprese abbiamo segnalato una fuga di capitali sempre più consistente dalla Grecia, gran parte di questo capitale sarebbe denaro sporco: 80 miliardi di euro sarebbero stati prelevati dalla banche greche e trasferiti verso istituti di credito del Regno Unito, di Singapore e della Svizzera; in quest’ultimo Paese sarebbero andati già 30 miliardi di euro.
Sul fronte internazionale la Grecia può vantare l’appoggio di Stati Uniti e Russia e, in ambito europeo della Francia che, con il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, ha recentemente preso posizione sulla cancellazione del debito sostenendo che:
"La cancellazione del debito è fuori questione, possiamo trattare sulla scadenza"
Chi però, potrebbe fare qualcosa di davvero determinante per la Grecia, almeno nell’immediato, è la BCE. Oltre alla riunione dell’Eurogruppo che si terrà oggi, infatti, l’altro appuntamento di primaria importanza per l’evoluzione della crisi greca è quello del prossimo Mercoledì, giornata nella quale il Consiglio Direttivo della BCE si riunirà non tanto e non solo per decidere riguardo ai tassi d’interesse, ma per discutere ancora riguardo ai fondi da destinare alle banche greche.
La BCE sa fin troppo bene che il debito pubblico greco ha raggiunto livelli tali da non poter essere più onorato, per questo ha recentemente tolto agli istituti di credito greci la possibilità di offrire titoli di Stato ellenici in cambio di liquidità. Accanto a questa decisione, la BCE ha però elevato, con due differenti interventi, il Fondo Ela, il fondo di emergenza con la quale la banca centrale greca può fornire nuovi prestiti alle banche commerciali del proprio Paese. L’ultimo dei due interventi ha validità, appunto, solo fino al prossimo Mercoledì 18 Febbraio, dal momento che la BCE stessa, con una maggioranza dei due terzi del Consiglio Direttivo, può decidere di revocare la misura: i fondi destinati agli interventi di emergenza, possono, infatti, essere accordati anche solo temporaneamente e solo alle banche ritenute solvibili.
La BCE, a tal proposito potrebbe, quindi, anche decidere di interrompere anche questa misura di finanziamento, per indurre la Grecia a stringere un accordo con l’Unione Europea che la riconduca sulla strada del piano di salvataggio, come già è avvenuto con Cipro nel 2013.
Questa scelta potrebbe, comunque, avere conseguenze molto più negative di quanto non possa sembrare a prima vista. Deve esserne consapevole Mario Draghi che ha notato come
"Non ha senso speculare sull’uscita di Atene dall’Eurozona".
Quel che preoccupa Draghi non è tanto la concreta possibilità di un’uscita della Grecia dall’Euro, un’eventualità al momento abbastanza remota e lontana ma gli effetti che il prolungarsi della crisi greca potrebbe avere sulla ripresa dell’eurozona.
Il quantitative easing è stato lanciato in un momento particolarmente positivo perché caratterrizzato dal contemporaneo deprezzamento dell’euro e dal calo del prezzo del petrolio. Anche se le borse europee hanno finora retto bene alla crisi greca, sfruttando ogni minimo segnale di accordo, per toccare nuovi massimi, il protrarsi della crisi greca potrebbe, a lungo andare, determinare un calo nella fiducia verso la ripresa.
Doveva essere proprio il quantitative easing a generare fiducia nella ripresa, una fiducia che potrebbe venire meno non solo in Grecia ma anche in altri Paesi "deboli" dell’area euro, qualora le Outright Monetary Transactions (Omt), dovessero rimanere inutilizzabili per i contrasti tra la Corte Costituzionale Tedesca e le istituzioni europee. Contrasti che, almeno al momento, impongono un programma di credito a condizionalità rafforzata a tutti i beneficiari delle OMT, un programma che finora è stato rifiutato da Spagna, Irlanda e Portogallo.
Il prolungamento e l’acutizzazione dello scenario greco, al di là delle possibili fughe dall’area euro, va anche a inclinare lo scenario sociale europeo, confermando da un lato l’immagine erronea dei Paesi mediterranei (i PIGS) come quelli spendaccioni e, dall’altro rendendo la crescita solo un impegno programmatico che non vede di fatto la luce, a vantaggio di politiche di austerità, tutt’altro che archiviate.
In definitiva, prorogare lo stallo sulla crisi greca, significa confermare che quella europea è una crisi di governance che, oltre a implicare l’inefficacia delle misure di politica economica, alimenterà sempre più diffusi malumori e scontentezze nei cittadini europei (in particolare nei cittadini dei Paesi debitori. Al di là di un’uscita dall’euro è un rischio ben più consistente per il futuro dell’Eurozona.
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