Per Jamie Dimon, CEO di JP Morgan, l’amministrazione Trump può far bene all’economia USA e globale se solo avrà modo di implementare le riforme in agenda.
Nella consueta lettera annuale indirizzata agli investitori, Jamie Dimon, CEO di JP Morgan, ha invitato il mondo finanziario alla fiducia nella crescita economica, convinto che Trump rappresenti per gli USA e il mondo un’opportunità, non una minaccia.
Le parole pronunciate da Dimon non sono, tuttavia, di solo encomio. Il CEO di JP Morgan, rinomatamente uno tra gli amministratori più ottimisti a Wall Street, riconosce comunque che l’economia USA continua ad avere difficoltà sulla scorta di un passato economico posto sulle basi di una troppo stretta “regolamentazione”. Per questa ragione Trump - che, stando alle ultime uscite di Dimon, va solo lasciato agire nell’opera di riforma economica e fiscale promessa in campagna elettorale - rappresenta la soluzione, non il problema.
Il discorso di Dimon dimostra inequivocabilmente che Trump gode di sponde autorevoli a Wall Street (più di quante ne riceva dalle fronde interne al Grand Old Party e nello scenario internazionale). Il vero alleato di Trump è il sistema finanziario, altroché.
Dimon: continua l’idillio con Trump
Nella lettera agli investitori il CEO di JP Morgan, Jamie Dimon, ha inteso tranquillizzare il mercato sulla situazione economica contemporanea:
“abbiamo bisogno di fiducia e confidenza nelle nostre istituzioni [...] La confidenza è la salsa segreta che, senza spendere denaro, aiuta l’economia a crescere”.
Semplice retorica da piazzista di Wall Street se non fosse che parole di questo tipo pronunciate oggi da uno delle figure di spicco dello scacchiere finanziario internazionale rappresentano un endorsement senza precedenti alla nuova amministrazione Trump. Non che fosse una novità, ben inteso: Dimon è stato fino all’ultimo momento in lizza per addivenire al ruolo di Segretario del Tesoro USA - portafoglio in definitiva assegnato a Steven Mnuchin, proveniente da Goldman Sachs. Ad oggi figura come consigliere di Trump.
Lo scorso febbraio, come ha ricordato Bloomberg, Dimon si è speso parecchio per convincere il mondo delle radiose opportunità economiche che l’agenda di Trump nasconde. Il fatto che la riforma dell’Obamacare sia stata bocciata dagli stessi Repubblicani conta poco. Trump ha ancora da giocarsi le carte (per Dimon vincenti) del taglio delle tasse e della riforma fiscale, misure che si preannunciano come il suggello definitivo del rapporto tra l’amministrazione Trump e il mercato.
Dimon: le critiche nella lettera sono rivolte al passato, non a Trump
Tuttavia, nella lettera indirizzata agli investitori Dimon trova comunque spazio per una serie di critiche allo stato contemporaneo dell’economia USA - sul cui andamento è impossibile tacciare Trump di presunte responsabilità.
Per il CEO di JP Morgan, infatti, gli USA escono da un decennio in cui la crescita (comunque significativa) è stata smorzata dalla forte regolamentazione, dalle tendenze belligeranti dell’amministrazione Bush, dalla fuga dei giovani e da un sistema di tassazione federale eccessivamente oneroso (ma poco incisivo sul piano degli investimenti). Impedimenti alla crescita ai quali il sistema finanziario ha senz’altro contribuito, riconosce Dimon: “è comprensibile il perché molti provano rabbia nei confronti dei leader delle istituzioni americane, incluse quelle finanziarie”.
Traspare dalle parole di Dimon un tono assolutorio nei confronti di Trump, come a voler dire che alla luce di quanto causato in termini di malcontento dalle precedenti amministrazioni, quella di Trump deve avere il tempo necessario per provare a cambiare le cose prima di essere giudicata.
Per questo, Dimon resta convinto che JP Morgan non debba temere nulla dal futuro; i margini di profitto esistono e le prospettive di crescita, sia negli USA che sul piano globali, sono buone e per questo vanno coltivate con la fiducia.
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