Il dibattito sui mercati finanziari e sui capitali europei che dalle elezioni italiane si chiede se la crisi della zona euro sia tornata contiene una supposizione inquietante: che non sia mai andata via.
La minaccia esistenziale di implosione dell’euro potrebbe essere svanita. Ma l’umore di auto-congratulazione che si è diffuso tra le burocrazie europee nel corso degli ultimi sei mesi ha coinciso con contrazioni sempre più profonde in molte economie, aumento della disoccupazione in tutta la regione, e livelli di debito sovrano che stabiliscono nuovi record.
Abbiamo evitato la fine del mondo, sembrano dire i leader europei, rallegriamoci del fatto che stiamo solo vivendo la peggiore recessione dalla seconda guerra mondiale.
Dati ancora preoccupanti
I numeri in Grecia rimangono sempre più sconcertanti: un’economia che si è contratta di un quarto dal 2008 e con più di un quarto della forza lavoro senza lavoro. Come ha detto Panos Tsakloglou, presidente del Council of Economic Advisors, solo l’America della Grande Depressione e la Germania di Weimar sono paragonabili.
La Grecia è sempre stata una sorta di "outlier" della zona euro, ma sempre più altri la stanno raggiungendo. I tassi di disoccupazione in Spagna sono quasi identici e la contrazione italiana, anche se lieve per gli standard greci, sarà molto più profonda quest’anno rispetto a quanto previsto solo tre mesi fa. La Francia, la cui economia è giunta ad un arresto completo, potrebbe vedere il suo tasso di disoccupazione all’11%.
In mezzo a queste macerie, gli elettori italiani hanno lanciato un grido che riaccende il dibattito sulla possibilità che la risposta alla crisi della zona euro guidata dall’austerità stia aggravando il problema, piuttosto che alleviarlo.
Silvio Berlusconi ha etichettato le politiche di austerità italiane "il diktat della Merkel" durante la campagna. Peer Steinbrück, il candidato socialdemocratico per il cancelliere tedesco, ha definito Berlusconi e l’attivista anti-austerità Beppe Grillo "due clown".
Dopo che Olli Rehn, responsabile economico dell’UE, ha sostenuto il mese scorso che i paesi non dovrebbero inciampare sulla riforma fiscale, il premio Nobel Paul Krugman ha parlato di un "Rehn del terrore", provocando una guerra online di parole tra Princeton e Bruxelles.
Con tutta la sua furia, però, il dibattito cambierà qualcosa? Facile dimenticare che nove mesi fa un altro grande paese della zona euro ha tenuto delle elezioni in cui un candidato anti-austerità ha spazzato via un architetto leader della risposta alla crisi dell’UE. E la vittoria di François Hollande in Francia non ha cambiato quasi nulla.
Quando gli è stato chiesto perché è stato così difficile cambiare le politiche di Bruxelles orientate all’austerità, il ministro delle finanze di Hollande, Pierre Moscovici, ha accusato le briglie dell’immaginazione dei leader dell’Eurozona.
Ma qualcosa di molto più importante ora si è imbrigliato: la capacità dei governi di invertire la rotta. In tutti i paesi della zona euro, il cosiddetto "compatto fiscale" è ora legge della terra, e sta fortemente limitando la capacità dei politici di fare qualcosa di diverso. Come ha osservato Mario Draghi, le riforme italiane hanno "il pilota automatico", a prescindere dei risultati elettorali.
Centro politico a rischio
Che cosa succede quando un elettorato decide di votar fuori i leader sulle cui politiche economiche non si è d’accordo - solo per scoprire che i loro nuovi leader sono costretti ad attuare esattamente le stesse politiche?
Janis Emmanouilidis, analista politico, sostiene che questa è una ricetta per populisti relativamente benigni come Grillo o quelli più preoccupanti, come il partito neo-nazista della Grecia Golden Dawn, che ora è regolarmente al terzo posto nei sondaggi d’opinione.
"Si va a votare e le cose non sembrano cambiare", ha detto Emmanouilidis. "Questo è ciò che aumenta il ricorso a quel tipo di persone che hanno risposte facili".
Le riviste accademiche sono piene di tentativi di stimare per quanto tempo ancora può durare la stabilità politica nei paesi costretti ai programmi di adeguamento economico. Come la maggior parte degli studi economici, la risposta è: dipende.
Ma quello su cui tutti sembrano d’accordo è che il centro politico non può reggere all’infinito. La Grecia è al suo sesto anno di contrazione. L’economia spagnola si ridurrà per la quarta volta in cinque anni. L’Italia è la quarta in sei anni. Questa crisi della zona euro, che non è mai andata via, potrebbe restare con noi ancora per un bel po’.
| Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Financial Times |
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