Come il dollaro forte sta soffocando l’inflazione degli Stati Uniti. Rialzo dei tassi a rischio?

Flavia Provenzani

10 Aprile 2015 - 18:35

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Il dollaro forte frena la crescita dell’inflazione, uno degli indicatori osservati dalla Fed per decidere quando e come rialzare i tassi di interesse: ecco come il super dollaro soffoca l’inflazione e la crescita negli USA.

Come il dollaro forte sta soffocando l’inflazione degli Stati Uniti. Rialzo dei tassi a rischio?

L’inflazione negli Stati Uniti non mostra praticamente alcun segno di movimento verso il target della Federal Reserve del 2%, ma non è più solo a causa del prezzo del petrolio più economico. Ecco che entra in gioco il super dollaro USA.

Ora anche il dollaro più forte spinge il freno sull’inflazione, allungando potenzialmente i tempi per un primo aumento dei tassi di interesse da parte della banca centrale statunitense in nove anni.

Un crollo del 50% del prezzo del petrolio dalla scorsa estate ha avuto come conseguenza sull’indice sull’inflazione preferito della Fed - il PCE (personal consumption expenditure) - un minuscolo aumento dello 0,3% nel corso dell’ultimo anno.

Ma con i prezzi del petrolio in via di stabilizzazione, il più grande vincolo sull’inflazione degli Stati Uniti è l’impennata del dollaro, e il fatto che una varietà di prodotti stranieri come il vino francese, le automobili tedesche e le TV ad alta definizione asiatiche sia diventata meno costosa per i cittadini statunitensi.

Nel mese di marzo, i prezzi negli Stati Uniti per beni e servizi importati sono diminuiti per l’ottava volta negli ultimi nove mesi - anche se il costo del petrolio d’importazione in realtà è aumentato per la seconda volta consecutiva. I prezzi all’importazione sono scesi dello 0,3% il mese scorso.

Nel corso degli ultimi 12 mesi, i prezzi all’importazione sono scesi di un sorprendente 10,5%.

Mentre il prezzo del petrolio a buon mercato è la ragione principale, anche il prezzo delle importazioni escluso il carburante è diminuito di quasi il 2% nello stesso arco temporale.
È il più grande calo in sei anni.

Il costo nettamente inferiore dei beni d’importazione è un’arma a doppio taglio.

Gli americani possono pagare meno per tutti prodotti come caffè, telefoni cellulari ed elettrodomestici, influendo di meno sul proprio stipendio.
Possono anche viaggiare più a buon mercato all’estero, soprattutto se utilizzano compagnie aeree straniere che hanno tagliato i prezzi.

Ma il dollaro forte rende anche l’acquisto di beni e servizi più costoso per gli stranieri, riducendo la domanda per le esportazioni di prodotti americani. Questo causerà un taglio dei profitti societari e potrebbe anche costare posti di lavoro, rallentando potenzialmente il ritmo di crescita del paese.

Se il dollaro rimane forte, è improbabile che l’inflazione riesca a salire di molto nel prossimo futuro, come invece spera la Fed.

Per mesi la banca centrale si è attaccata alla visione secondo cui il calo dell’inflazione è un fenomeno temporaneo e che presto l’andamento si sarebbe invertito.

Solo nel mese di marzo la Fed ha gettato la spugna, tagliando la sua stima sull’inflazione del PCE nel 2015 in un range tra lo 0,6% e lo 0,8%, da una stima iniziale tra l’1,6% e l’1,9%.

Il tasso di inflazione che i membri della Fed ritengono salutare per l’economia non riuscirà ad avvicinarsi al traget della Fed al 2% fino al 2016, come mostrano le usltime previsioni.

Ma gli alti funzionari della Fed si sono concessi un margine di manovra più ampio nel mese di marzo, sottolineando che un rialzo dei tassi di interesse, se necessario, potrà avvenire anche se l’inflazione rimane sotto target.

Una pluralità di economisti statunitensi, invece, pensa che la Fed dovrebbe attendere che l’inflazione rinizi effettivamente a salire.

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