Carife, i Pm di Ferrara in commissione: “Azionisti non informati sui rischi”

Francesca Caiazzo

29 Novembre 2017 - 12:39

I magistrati di Ferrara in commissione banche: la crisi dell’istituto iniziò già nel 2009 e in occasione dell’aumento di capitale del 2011 gli azionisti non vennero informati delle reali condizioni della banca.

Carife, i Pm di Ferrara in commissione: “Azionisti non informati sui rischi”

Dopo le banche venete e Monte dei Paschi di Siena, la commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario giunge a occuparsi della Cassa di Risparmio di Ferrara. Ieri, infatti, l’organismo bicamerale ha ascoltato i magistrati della Procura di Ferrara impegnati nell’indagine sul crac di Carife.

Secondo quanto emerso dalle audizioni, i problemi dell’istituto ferrarese risalirebbero già al 2009 e sarebbero stati acuiti dall’aumento di capitale da 150 milioni nel 2011, operazione al centro del processo ancora in fase di udienza preliminare in corso a Ferrara.

Breve cronistoria del crac

Le difficoltà di Carife, racconta il procuratore di Ferrara, Patrizia Castaldini, erano palesi già nel 2009 quando Bankitalia segnalava

“Una situazione grave in cui versava l’istituto e l’intero gruppo bancario, sotto il profilo sia gestionale che patrimoniale. In sede ispettiva era stato anche accertato un forte deterioramento del portafoglio creditizio, che era da imputarsi a condotte degli amministratori”.

Nel 2011, ricordano i magistrati, venne eseguito l’aumento di capitale da 150 milioni di euro, un’operazione che non portò a una vera ricapitalizzazione e aggravò la situazione perché produsse perdite enormi: oltre 104 milioni nel 2012 rispetto ai soli 3,7 dell’anno precedente.

Per raggiungere la quota di 150 milioni, la banca ferrarese decise di non esporre la Fondazione Carife , che in quel momento possedeva il 66% del capitale, ma preferì sottoscrivere uno scambio fittizio di azioni con la Cassa di risparmio di Cesena e la Popolare Valsabbina, entrambe costituitesi parti civile nel processo in corso.

Nel corso dell’audizione, è stato rimarcato come dalle indagini dei magistrati non siano emerse prove a sostegno dell’ipotesi di un eventuale concorso in bancarotta della Fondazione Carife.

Nel 2013, Bankitalia svolge una seconda ispezione nei confronti di Carife, che porterà al commissariamento della banca e alla risoluzione coatta nel novembre 2015.

Le false informazioni alla Vigilanza

Secondo i magistrati ascoltati ieri dalla commissione presieduta da Pier Ferdinando Casini, in merito all’aumento di capitale del 2011, i vertici di Carife mentirono alla Consob consegnando un prospettivo informativo non veritiero e non permettendo agli azionisti di essere correttamente informati.

“Venivano occultate ai sottoscrittori delle azioni – praticamente la collettività, le famiglie e le imprese – le reali condizioni di rischio che venivano ad assumere attraverso l’acquisto di azioni”

ha sottolineato Castaldini, la quale ricorda che che l’anno precedente, nel 2010, Bankitalia avviò una serrata attività di vigilanza alla quale seguirono numerosi incontri con i vertici di Carife.

Via Nazionale chiese all’istituto ferrarese di adoperarsi affinché la crisi venisse superata e soprattutto l’invitò, in vista della ricapitalizzazione, a indirizzare l’offerta delle nuove azioni a

“soggetti qualificati e informati del rischio, tenuto conto dei problemi economici e finanziari della banca”.

Per quanto concerne il ruolo dei commissari che insediarono nel 2013, il sostituto procuratore Barbara Cavallo ha sottolineato che durante il commissariamento si registrò un aumento del passivo della banca come conseguenza dell’azione più decisa dei commissari rispetto agli ex vertici.

“È stata diffusa l’informazione che nella sentenza di insolvenza della banca (emessa nel febbraio 2016, tre mesi dopo la risoluzione) ci fosse, implicitamente, l’indicazione che il dissesto fosse stato cagionato dal commissariamento. Non è vero. La sentenza questo a nostro avviso non lo dice”

ha aggiunto Cavallo.

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