Bersani alla Alfano? Dagli scissionisti pericoli di tenuta per il governo Gentiloni

Alessandro Cipolla

16/03/2017

La tenuta del governo Gentiloni al Senato dipende sempre di più dalle scelte di Alfano e Bersani: se il primo giura fedeltà, sul secondo dopo il caso Lotti aumentano i dubbi.

Bersani alla Alfano? Dagli scissionisti pericoli di tenuta per il governo Gentiloni

Riuscirà il governo Gentiloni a resistere in quest’ultimo anno rimasto grazie al sostegno di Angelino Alfano e Pier Luigi Bersani?

Questo è l’interrogativo che circola in Parlamento dopo la votazione sulla mozione di sfiducia contro il ministro Luca Lotti presentata dal Movimento 5 Stelle. Il titolare del dicastero dello Sport è salvo, ma il voto ha fatto nascere nuovi dubbi sulla tenuta del governo Gentiloni.

Se alla Camera il premier Gentiloni può contare su un’ampia maggioranza, al Senato invece dopo la rottura con Denis Verdini i voti dei senatori fuoriusciti dal Pd sono assolutamente vitali per il prosieguo del governo.

Così come spesso in passato si è detto che Angelino Alfano, grazie al suo discreto numero di parlamentari al seguito, abbia in qualche modo condizionato le scelte e le azioni del governo Renzi, ora potrebbe essere invece Bersani a tenere sotto scacco Gentiloni.

Fondamentali quindi saranno i provvedimenti che a breve dovranno essere licenziati dal governo, con l’appoggio degli scissionisti che potrebbe essere meno scontato e incondizionato di come invece era apparso in un primo momento.

Bersani fedele a Gentiloni?

Il governo Gentiloni potrebbe essere molto meno solido di quanto immaginato fino a qualche giorno fa. Se prima era la volontà di elezioni anticipate di Matteo Renzi a mettere in discussione la durata dell’esecutivo, ora le minacce potrebbero arrivare da altri fronti.

Prima dell’inizio dell’iter congressuale e della decisione della data per le primarie Pd, Bersani e suoi si erano messi di traverso all’ipotesi spinta da Renzi di andare al voto a giugno o a settembre, sottolineando l’importanza che il governo Gentiloni arrivasse alla sua scadenza naturale del febbraio 2018.

Dopo le dimissioni da segretario di Renzi e la scelta di fare le primarie del partito il 30 aprile, gli scissionisti del partito hanno comunque deciso di abbandonare il Pd, giurando fedeltà a Gentiloni visto che ormai lo spettro delle elezioni anticipate è andato scomparendo.

Il problema sostanziale di fondo è quindi che i bersaniani non si riconoscevano più in un Partito Democratico sempre più a immagine e somiglianza di Matteo Renzi, optando per fare le valigie e fondare i Democratici e Progressisti.

In quest’ottica, il governo Gentiloni non c’entra nulla. Il problema per gli scissionisti è uno solo e ha un nome e un cognome: Matteo Renzi. La questione però è che sostanzialmente questo esecutivo, nonostante il cambio di premier, è in linea con quello precedente.

Le parole di fuoco pronunciate dal senatore Mdp Gotor contro il ministro Lotti e la decisione degli scissionisti di non partecipare al voto del Senato, potrebbe essere solo un antipasto di quello che potrebbe accadere nel futuro.

I rischi per il governo Gentiloni

Nella votazione sulla mozione di sfiducia verso Luca Lotti è emerso anche un altro particolare interessante, ovvero il forte e compatto sostegno di tutti i senatori verdiniani al ministro che hanno sopperito così alla mancanza dei voti dei Democratici e Progressisti.

Fermo restando che Alfano non farebbe mai cadere il governo, se dipendesse da lui probabilmente lo protrarrebbe all’infinito, che possa essere allora Verdini il salvagente di Gentiloni al Senato?

Ipotesi questa che sarebbe fattibile nella teoria ma poco realizzabile nella pratica. Sia che alle primarie vincesse Matteo Renzi oppure Andrea Orlando o Michele Emiliano, nessuno dei tre andando verso una campagna elettorale vorrebbe legarsi ad un personaggio scomodo come Denis Verdini.

Entro il 20 aprile il governo dovrà approvare il Def, per poi essere chiamato ad affrontare lo spinoso tema di numerose nomine da dover dover fare. Nel mezzo ci sono le elezioni amministrative e il Referendum sui Voucher, oltre alla volontà degli scissionisti di mettere mano al Jobs Act e alla Buona Scuola.

Il paradosso quindi è che potrebbe essere proprio Bersani, dopo aver litigato con Renzi tra le altre cose per non far cadere in anticipo Gentiloni, a determinare di fatto la fine del governo se dovesse far mancare il proprio appoggio all’esecutivo su uno di questi temi.

Se con Alfano è molto più facile arrivare a mediazioni, più arduo sarebbe il compito con gli scissionisti. Anche loro però si troverebbero tra l’incudine e il martello del prendersi la responsabilità, dopo aver spaccato il Pd, di far cadere anche un governo di centrosinistra.

La situazione quindi è particolarmente ingarbugliata. La sensazione è che fino al 30 aprile tutto rimarrà così com’è, ma dopo le primarie in base a chi sarà il nuovo segretario le sorprese potrebbero non mancare.

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