Il punto di vista della GenZ sulla politica

Il punto di vista della GenZ sulla politica

di Paolo Di Falco

«Il Pd deve scegliere se essere un partito pigliatutto o di sinistra»: intervista a Pier Luigi Bersani

Paolo Di Falco

11 novembre 2022

Da quella famosa mucca che dal corridoio con il governo Meloni “è arrivata in salotto” alla prima settimana di governo passando per il Pd, il M5s e una politica profondamente cambiata.

La prima settimana del nuovo governo guidato dalla Presidente Giorgia Meloni è già passata e, tra i tanti temi che sono emersi dal dibattito quotidiano, c’è stata già più di qualche scelta identitaria: da un lato la dibattuta norma sui rave party che con la sua formulazione generica potrebbe trovare applicazione in diversi casi che però fanno rima con l’articolo 17 della nostra costituzione sulla libertà di riunione, dall’altro lato invece si è scelta la via del pugno duro con le quattro navi delle Ong umanitarie.

In mezzo c’è molto altro: dalla sfilata fascista a Predappio alla curva nord dell’Inter che a San Siro è stata fatta sgomberare dagli ultras durante l’intervallo della partita con la Sampdoria per la scomparsa del capo ultras Vittorio Boiocchi ucciso in agguato. “Adesso scoprono nel mondo democratico che c’è la destra ma la si vedeva anche un anno e mezzo fa quando c’era tutta la possibilità di fermare questo esito” ci dice Pier Luigi Bersani, ex segretario del Partito Democratico, ex Presidente della Regione Emilia Romagna e più volte Ministro nei governi di Romano Prodi, Massimo D’Alema e Giuliano Amato.

La mucca nel corridoio che adesso è arrivata in salotto

Tante sono le frasi che hanno segnato la storia della politica italiana e tra queste c’è anche quella di Pier Luigi Bersani che nel 2013, parlando della destra, disse: “Chi sottovaluta le potenzialità della destra non vede la mucca nel corridoio”. All’epoca, ci dice Bersani, “la destra era scomparsa dall’orizzonte mediatico dei giornali: Fratelli d’Italia praticamente non esisteva, la Lega era andata incontro ad una crisi drammatica e Berlusconi aveva i suoi problemi ma io vedevo già qualcosa all’orizzonte. Nelle piccole realtà locali vedevi che, mascherate da liste civiche, mediamente veniva fuori un cercarsi e un trovarsi di realtà orientate a destra un po’ liberali come Forza Italia, un po’ nostalgiche o leghiste ma si compattavano e vincevano alla grande”.

“Stava penetrando l’idea che la democrazia così com’era stata rappresentata dal centrosinistra fosse una cosa un po’ astratta. Una democrazia che non consegnava la merce cioè che non aveva orecchio e occhio per una serie di problemi reali che coinvolgevano la vita della gente. Per semplificare, potremmo dire che si era affermata una democrazia dell’establishment, una democrazia delle ZTL, una democrazia della città… Io vedevo che veniva su questa mucca nel corridoio mentre il centrosinistra, in piena epoca renziana, si immaginava eterna al potere e si inventava delle leggi elettorali, tipo l’Italicum alla Erdogan. Intanto nel mondo la globalizzazione iniziava a mostrare le sue spine e sollecitava una reazione che una nuova destra stava interpretando: una reazione protezionista di chiusura, una ricerca del capro espiatorio in chi era al di fuori...”

“Mentre il centrosinistra” – sottolinea Pier Luigi Bersani – “era ancora sull’onda positiva di una globalizzazione che sollevava tutte le barche e credeva che la disuguaglianza fosse un problema di diverse opportunità. Negli anni precedenti, per esempio, un giovane che prendeva un 30 e lode in tutti gli esami e si laureava a pieni voti alla fine poteva anche trovare lavoro ma adesso questo non era più vero però si continuava ad alimentare questa narrazione. In quella situazione non si è visto il problema non per assenza di occhi ma per assenza di cuore cioè per la perdita di generosità, di spirito d’avventura della politica di sinistra… Lì c’è stato un disastro ma adesso c’è un’ondata di destra nel Paese? No, la destra ha la forza che aveva nel 2018 quando io dissi “arrivano in corridoio”: nella società non si è mossa da lì nonostante all’interno delle istituzioni sia arrivata in salotto. I voti che ha preso sono quelli di cinque anni fa. La destra sbaglia di grosso se pensa di aver preso la casa”.

La prima settimana del governo Meloni

Nella prima settimana del nuovo governo di Giorgia Meloni intanto, mette in evidenza Bersani, “abbiamo visto enunciare i primi condoni, l’innalzamento del contante che in Italia vuol dire riciclaggio e non si è detto nulla sugli ultras che buttano fuori la gente dagli stadi o sulle 3.000 persone che a Predappio alzano il braccio e si mettono la camicia nera”. Tra le tante tematiche da affrontare si è però preferito scegliere quella più ridicola e così si è nata una nuova norma contro i rave party che però “parla in astratto di assembramenti superiori a 50 persone in luoghi non autorizzati”.

Inoltre “sta tornando sulla scena il tema dei barconi ma non si dice che noi abbiamo un numero di richiedenti asilo di gran lunga inferiore a quello di paesi come la Germania, la Francia e la Spagna. Con questo non vuol dire che noi non dovremmo sollevare il tema della necessità di canali regolari di immigrazione: ci vorrebbe un’organizzazione di salvataggio in mare che sia europea, pubblica e statale ma non se ne vede traccia; ci vorrebbe una ripartizione dei richiedenti asilo anche se, comunque, noi non ci guadagneremmo perché ne hanno molti di più gli altri però è giusto. Invece si vuole sbandierare il tema come mezzo di distrazione di massa: loro sanno che non possono mantenere le promesse che hanno fatto in campagna elettorale quindi si preferisce buttarla in chiave identitaria e ideologica”.

Il Partito Democratico, la sua identità e l’alleanza con il Movimento 5 Stelle

Guardando all’opposizione invece, Pier Luigi Bersani dice che “il Partito Democratico deve decidere se vuole essere un partito pigliatutto di un centro che distrattamente guarda a sinistra oppure se vuole essere il partito di una sinistra plurale che decide di avere dei riferimenti sociali molto precisi. Nella seconda ipotesi si potrebbero raccogliere molte forze con un processo “costituente” dove non si deve mettere all’inizio qual è il punto di arrivo”.

Dall’altra parte c’è il Movimento 5 Stelle, lo stesso con cui da Presidente incaricato di formare un nuovo governo nel 2013 si trovò in diretta streaming a dover trattare con due sue figure di primo piano, Paola Taverna e Vito Crimi. Allora sapeva che quella diretta “streaming non avrebbe portato a niente però la sinistra è quella cosa che si ingaggia con le novità: quando vedi che c’è un movimento ancora irrisolto, prepotente, enorme, inaspettato bisogna cercare di portarlo sul terreno democratico e se possibile progressista senza chiudersi dentro un castello. Accettai consapevolmente di finire lì su questo punto che, a proposito anche dei temi di oggi del Pd, resta dirimente: non si possono voltare le spalle a quello che la società con le sue contraddizioni propone, bisogna lasciarsi sfidare”.

Adesso il Movimento è cambiato visto che “perfino nell’esperienza di governo i cinque stelle a prezzo di perdere metà dei voti hanno deciso da che parte stare: la gente infatti li considera come una formazione di campo progressista. Detto questo, si può affidare a loro la prospettiva della sinistra? Ho sempre pensato all’utilità di un’alleanza tra una sinistra evoluta ma con radici storiche e la loro che definisco una sinistra di nuovo conio. Anche se non si definiscono di sinistra ma progressisti, mostrano una sensibilità su alcuni temi come la povertà, l’ambiente, la sobrietà della politica, i diritti civili ma non hanno attitudine per l’hardware dell’uguaglianza che sono i grandi sistemi che si chiamano: diritti del lavoro, welfare universalistico e progressività fiscale. Con loro vedo una complementarietà molto interessante perché il M5S porta nella casa della sinistra delle sollecitazioni nuove: era così allora, è così anche adesso”.

Generazioni a confronto e il cambiamento della politica

L’ex segretario del Partito Democratico si è formato tra le sezioni del Partito Comunista Emiliano-Romagnolo e fin da giovanissimo ha iniziato a coltivare l’interesse per fare politica a tal punto che da bambino finì pure sui giornali locali per aver convinto i suoi compagni chierichetti a organizzare uno sciopero per protestare contro alcune scelte del parroco sulla destinazione delle offerte. Un impegno politico che oggi è meno sentito dai giovani ma, come ci dice lui, ”la mia generazione ha avuto un colpo di fortuna visto che alle spalle c’era una guerra mondiale e quella generazione lì in tutto il mondo voleva una casa, una famiglia, un mestiere e sognava qualcosa per i suoi figli. Quella successiva, la mia, in tutto il mondo non voleva più solo quelle cose lì che già aveva e così improvvisamente iniziò la scolarizzazione a cui si accompagnò anche un bisogno di cose nuove che alla fine sfociò nella partecipazione, nell’esserci. Gli anni 60? Sono stati semplicemente questo in tutto il mondo: dalla rivoluzione culturale in Cina a Bob Dylan in America…”

“Oggi è un’altra epoca, bisogna uscire dai percorsi già scanditi della politica: bisogna ripartire dalle radici, bisogna inventarsela la politica e non stare ad aspettarla o pensare di inserirsi solo in quello che c’è già. Ricordiamoci che la sinistra o le spinte di emancipazione spesso sembrano morte ma risbucano sempre nella storia. È necessario che la vostra generazione ci metta iniziativa libera e sciolta, inventiva e fiducia senza pensare che la politica sia incanalarsi in quello che c’è. Noi non pensavamo mai che la politica fosse un mestiere: facevo le supplenze alle medie da professore quando capitava. Allora c’era precarietà così come oggi dove quest’ultima continua ad essere uno scandalo ma se ne viene fuori con un po’ di fiducia”.

Rispetto alla vita politica della generazione di Bersani a cambiare non è stata solo la partecipazione ma anche la vita parlamentare: “Come ho detto anche al Presidente Roberto Fico quando era appena arrivato, per capire cos’è cambiato nella vita parlamentare c’è uno strumento tecnico ovvero i decibel. Vent’anni fa ci si ascoltava e qualche volta, sentendo la discussione, si cambiava anche qualcosa della norma. Adesso prevale un’idea del Parlamento come tribuna per i media, per i social e l’intervento si è trasformato in un mini comizio dove sostanzialmente non ci si ascolta. Prima se fosse arrivata la norma sui rave magari ci si fermava a ragionare e ci si accorgeva che una norma così in una democrazia non sta in piedi, adesso ho qualche dubbio che si arrivi a capirlo”.

Paolo Di Falco

18 anni, di Siracusa. Ho creato La Politica Del Popolo, un sito di news gestito da giovani.

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