Il punto di vista della GenZ sulla politica

Il punto di vista della GenZ sulla politica

di Paolo Di Falco

“Un Occidente ipocrita”: la guerra in Ucraina e il Governo italiano. Intervista a Marco Travaglio

Paolo Di Falco

8 luglio 2022

Dalla guerra in Ucraina, all’addio di Di Maio al M5S, alle richieste di Conte a Draghi: ne parliamo con il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio.

È arrivata l’estate ma il contesto nazionale e internazionale non è di certo migliorato. Anzi, continua a peggiorare: alla guerra in Ucraina, che dura da ben 134 giorni, si aggiungono la spirale inflazionistica, con la pesante ricaduta su tutta l’eurozona, e la necessità di trovare forniture energetiche alternative al gas russo in grado di colmare il vuoto che potrebbe crearsi dopo una totale interruzione del flusso verso l’Italia. Inoltre, sul piano nazionale ci troviamo a dover fare i conti con l’emergenza climatica: da un lato l’incombente siccità e dall’altro la tragedia della Marmolada, che ci pone di fronte degli interrogativi chiari a cui urge dare una risposta.

Sempre a livello interno, troviamo il governo che adesso si regge sull’ennesimo partito nato in questa legislatura e fondato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha abbandonato il Movimento 5 Stelle portando con sé oltre 60 grillini tra deputati e senatori. Un partito che, se da un lato, assicura maggiore stabilità al governo guidato dal premier Draghi, dall’altro porta il M5S di Giuseppe Conte a mettere in discussione la continuazione dell’esperienza di governo. Nonostante il Governo Draghi abbia i numeri necessari per assicurarsi la maggioranza anche senza il M5S, non sono ancora ben chiare quali potrebbero essere le conseguenze di un’eventuale fuoriuscita dei Cinque Stelle sull’esecutivo.

Di tutto questo abbiamo parlato con il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, autore di diversi libri d’inchiesta tra cui i più noti, sono: L’odore dei soldi, scritto con Elio Veltri, dove, attraverso i diversi atti processuali, si ricostruiscono le origini delle fortune di Silvio Berlusconi, e Mani Pulite, scritto con Gianni Barbacetto e Peter Gomez, dove si indaga sulla tempesta politica e giudiziaria che scosse l’Italia trent’anni fa.

La guerra in Ucraina e le mosse iniziali dell’Occidente

Il punto di partenza è la situazione in Ucraina dove è un dato di fatto che, come sottolinea il direttore Travaglio: «Oltre a Putin che continua ad avanzare, sebbene più lentamente di quello che qualcuno poteva pensare, anche l’Occidente ha scelto la via della guerra». Una scelta che «è stata presa molto alla leggera, almeno, per quanto riguarda il nostro Parlamento dove non c’è stato un dibattito, un confronto e non si sono ascoltati nemmeno gli esperti che hanno sconsigliato di far durare la guerra a lungo, riempiendo di armi l’Ucraina, proclamando di aiutare così il popolo aggredito a difendersi dall’aggressore. Questa è una scelta che avrebbe un senso se chi capisce di questo cose avesse misurato le forze in campo, avesse calcolato le possibilità di successo di questa politica e quindi avesse la ragionevole certezza nei calcoli probabilistici che avrebbe portato benefici al popolo ucraino mentre viceversa, se si fosse ritenuto fin dall’inizio che la guerra era persa per quanto riguarda il Donbass, forse si sarebbe dovuto valutare che ogni giorno in più di guerra avrebbe potuto significare un pezzo di Ucraina indipendente in meno e un numero di morti in più».

«Io tifo con tutte le mie forze gli ucraini affinché riescano a ricacciare gli invasori, è un esito che corrisponderebbe all’etica, sarebbe un esito giusto quello dell’aggressore ricacciato dall’aggredito, ma purtroppo non basta l’etica per giustificare le proprie scelte quando si parla di una guerra. Ci vuole anche il coraggio di dire la verità e analizzare i fatti. Dopo la scelta di rispondere alla guerra con la guerra e non con il negoziato, avremo l’obbligo di accettare il risultato finale: se qualcuno mi sfida a duello e io non accetto la sfida è un conto ma, se io accetto la sfida, poi devo accettare anche il risultato di quel duello. In altre parole, accettare la sfida della Russia dicendo: “Noi armeremo gli ucraini e vi ricacceremo indietro” significa implicitamente, ma anche esplicitamente, dire che alla fine vincerà il più forte. Noi riteniamo di essere i più forti, loro ritengono di essere più forti ma poi chi lo dice chi è il più forte? Lo dice il campo di battaglia e quindi il rischio è che l’Ucraina debba sacrificare molto più di quello che avrebbe potuto sacrificare all’inizio. Non sappiamo esattamente quali erano le condizioni iniziali perché Putin rinunciasse all’invasione, non sappiamo neanche se avrebbe rinunciato, ma anche lui deve fare i conti con la propria opinione pubblica che, in questo momento, lo sostiene dato che si è bevuta la sua propaganda sulla liberazione e la denazificazione dell’Ucraina a cominciare dal Donbass».

«Nel Donbass», continua Travaglio, «si combatte una guerra civile da otto anni nella quale gli aggressori e gli aggrediti sono esattamente a parti invertite rispetto a quello che è accaduto dopo il 24 febbraio: lì gli aggressori erano le truppe regolari e le milizie, più o meno, filonaziste di Kiev e le vittime, invece, le minoranze secessioniste delle repubbliche di Donetsk e Lugansk. Prima della guerra, Putin chiedeva impegni precisi: all’Ucraina l’impegno di mantenersi neutrale, quello di non entrare nella Nato e il rispetto degli accordi di Minsk. Rispettati questi impegni certamente non è escluso che avrebbe attaccato lo stesso, ma non avrebbe potuto raccontare che lo faceva per imporre il rispetto degli accordi e per impedire che l’Ucraina entrasse nella Nato. Cercare le ragioni e le cause di una guerra non significa dare ragione a chi l’ha scatenata, “le ragioni” non significa “la ragione”, sono cose diverse e sicuramente Putin avrebbe avuto imbarazzo ad attaccare ugualmente perché i pretesti utilizzati sarebbero venuti a mancare».

A che punto siamo? Gli sviluppi e l’ipocrisia occidentale

Una delle domande chiave per capire qual è la situazione allo stato attuale, secondo il direttore Travaglio è quella di chiederci, dopo quattro mesi e mezzo di guerra, qual è la situazione sul campo.

«La Russia ha quasi completato l’occupazione del Donetsk e del Lugansk e in più della fascia sul mare d’Azov che tende verso Odessa, probabilmente per incamerare un po’ più di quello che gli interessa perché sappiamo benissimo che a un tavolo di trattative qualcuno deve cedere qualcosa, quindi più cose possiedi, più puoi lasciarne andare e tenere intatte le conquiste che ti interessano maggiormente», però: «quando si scende sul terreno della guerra bisognerebbe avere il coraggio e il pudore di mettere da parte la morale: io accetto che a fare la morale sulla guerra sia Gino Strada, che non ne ha mai fatta e ha sempre curato le vittime di tutte le parti, ma è totalmente inaccettabile che a fare la morale sulle guerre siano Paesi o alleanze che hanno fatto guerre di aggressione. Gli Stati Uniti, per esempio, non hanno alcun titolo per fare la morale ai Russi, perché hanno fatto molte più guerre provocando molte più vittime, come a Belgrado, in Libia, in Siria o in Iraq e in Afghanistan dove hanno fatto un milione di morti in vent’anni».

«Bisognerebbe spazzare il campo dalla morale, bisognerebbe dire che quando è in gioco l’interesse nazionale si stringono anche mani insanguinate: io non mi scandalizzo che si stringono mani insanguinate come quelle di Erdogan, come quelle del presidente egiziano al-Sisi, perché lo sappiamo tutti che, purtroppo, le fonti energetiche migliori si trovano nei Paesi più dittatoriali, non l’abbiamo scelto noi. Quello che non è accettabile è che ci si racconti che lo facciamo per ragioni etiche: non è etico ricevere petrolio e gas dalla Russia, così noi in nome dell’etica andiamo a prenderlo in Algeria, in Egitto, in Venezuela, negli Stati Uniti, negli Emirati, in Arabia Saudita e in Turchia. Non si combatte un dittatore arricchendone altri 40, quindi tanto valeva evitare tutto questo tour ipocrita e continuare a prendere il gas dai russi come fanno gli ucraini, che continuano a comprare il gas da loro pagandolo per via di triangolazioni con la Polonia e ricevendo, all’incirca, un miliardo e mezzo di dollari all’anno per i diritti di transito del gasdotto sotto il territorio ucraino. Se gli ucraini continuano a dare e a prendere dei soldi da Putin per quale motivo noi non dovremmo farlo?»

«Dovremmo evitare di essere ipocriti: dovremmo limitare gli entusiasmi visto che non è necessario sorridere a crepapelle davanti a Erdogan e ai suoi ministri, non è necessario definirlo partner, amico e alleato. Dobbiamo considerare che si possono fare degli accordi chiedendo, almeno, il rispetto dei diritti umani. Ho visto un entusiasmo eccessivo nel buttarsi tra le braccia di Erdogan, soltanto perché adesso ci fa comodo per ridurre la nostra dipendenza dai russi. Ma che differenza c’è fra Erdogan e Putin? Che differenza c’è tra la guerra di Putin contro gli ucraini e la guerra di Erdogan contro i curdi che, tra l’altro, per noi occidentali hanno fatto molto più degli ucraini, combattendo al nostro posto contro l’Isis, e ai quali non abbiamo nemmeno inviato le armi?

Il M5S: dalla genesi alla scissione del Ministro Di Maio

Sul fronte interno, come dicevamo inizialmente, a tenere banco c’è il Movimento 5 Stelle di cui, forse, non tutti ricordano le origini.
»Sono nati come un movimento civico di proposta e di protesta nei comuni e, infatti, le cinque stelle sono cinque proposte per cambiarli. Il loro successo è stato talmente travolgente che sono stati quasi costretti a candidarsi alle elezioni politiche, vincendo le ultime due: nel 2013 tutti si sono accroccati per tenerli ai margini, nel 2018 non avevano più i numeri per accroccarsi tutti insieme contro di loro e quindi sono andati al Governo, dove hanno dovuto confrontarsi con la categoria del possibile e del fattibile, hanno dovuto riconsiderare le loro proposte e mantenere solo le cose fattibili. Io non ricordo un partito o un movimento che sia riuscito a realizzare tanti punti del proprio programma in così poco tempo: reddito di cittadinanza, la riforma costituzionale del taglio dei parlamentari, il divieto di pubblicità al gioco d’azzardo, il decreto dignità contro il precariato, il cashback, il superbonus 110% per non parlare di quello che succedeva nel frattempo, come la pandemia, il recovery con i 209 miliardi portati a casa dall’ex Premier Conte… Così come non si può dimenticare che la presidente dalla Commissione Europea Ursula Von der Leyen è lì perché Conte convinse il M5S a darle i suoi 14 voti, o che lo stesso che oggi viene dipinto come colui che vuole uscire dalla Nato, ha sventano due procedure d’infrazione".

Sulla scissione del ministro Di Maio invece ci dice: «Il caso di Di Maio non è un caso politico, il caso di Di Maio è un caso umano perché è una persona troppo giovane per abbandonare la politica dopo due mandati, quindi sta pensando al suo futuro, parola che ha messo anche nel logo del nuovo partito. Tutti i partiti, tranne la Meloni, eleggeranno meno parlamentari alle prossime elezioni perché sono ridotti, quindi solo un partito che prima aveva il 5% e oggi è al 20% può pensare di portare più parlamentari. Quindi figuriamoci quanti ne potrà portare Di Maio con un centrotavola che ha più leader che elettori. Il suo caso incide fino a quando durerà questa legislatura perché, numericamente, il M5S che era il partito di maggioranza relativa adesso sarà sostituito dalla Lega. Questa però è un’operazione di puro palazzo e non è come quando Bersani, D’Alema e altri andarono via dal Pd rappresentando una quota della sinistra che non si riconosceva più in un partito di centrodestra come fu il Pd di Renzi».

«Questa è gente che non ha nessun elettorato, non è un’operazione politica ma è un’operazione interna al palazzo che serve a mettere a sicuro il governo Draghi e che libera due volte Conte e i Cinque Stelle. Innanzitutto, perché se loro escono dal Governo, il Governo non cade, a meno che Draghi non si dimetta. La seconda liberazione è dovuta al fatto che è molto più facile gestire un movimento nel quale non c’è Di Maio, che è tutti i giorni alle tue spalle pronto a piantarti il coltello nella schiena, cosa che è accaduta per il Quirinale o per la riforma della Giustizia. Quindi la scissione di Di Maio ha rafforzato molto Conte e il Movimento, provocando anche un aumento degli iscritti che non si riconoscevano in un Di Maio che fa il soldatino della Nato».

Le aspettative sul governo

Nel contesto nazionale e internazionale di cui parlavamo in apertura, si inserisce l’operato del Governo da cui, secondo Travaglio: «Non dovremo aspettarci nulla. Io credo che, finché reggerà, dobbiamo sperare che faccia il meno possibile, perché ogni volta che agisce disfa qualcosa di buono che avevano fatto gli altri due precedenti. Io spero nella paralisi, se non nella caduta».

Un Governo che sta facendo troppo poco per quanto riguarda la lotta ai cambiamenti climatici e la transizione ecologica in mano al ministro Cingolani, «un nemico dichiarato dell’ambiente, uno che fa le battaglie in Europa per infilare il nucleare e il gas tra le energie pulite. Stiamo parlando della negazione totale della transizione ecologica in un Paese che ha appena toccato con mano i risultati dei cambiamenti climatici, ma è ovvio che di fronte a quello si dovrebbe fare un decreto urgente di investimenti straordinari nel fotovoltaico, per piantare alberi. Il superbonus, per esempio, che è un ottimo strumento per modernizzare le nostre case e ridurre le emissioni, è stato massacrato per cui ci sono migliaia di imprese, di famiglie con i cantieri fermi per questa follia della cessione del credito».

Un altro tema molto attuale con cui il governo non ha ancora fatto i conti è anche quello del salario minimo. Basti pensare, però, «al fatto che quando Conte va a chiedere il salario minimo venga trattato come un disturbatore, non tanto dal premier, ma dagli altri partiti, che avvertono un fastidio perché va a chiedere delle cose per la gente. Quindi perché un Movimento dovrebbe stare in un Governo, se non ha neanche il diritto di segnalare che sta arrivando uno tsunami sociale e che, se non approviamo il salario minimo, ci ritroveremo i forconi sotto Palazzo Chigi e l’astensionismo al 70/80%? Perché si dovrebbe andare a votare, se quelli per cui si vota non hanno nemmeno il diritto di andare dal presidente del Consiglio, che teoricamente dipende da loro, per dargli nuove cose da fare?»

Paolo Di Falco

18 anni, di Siracusa. Ho creato La Politica Del Popolo, un sito di news gestito da giovani.

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