Veronica, 25 anni, vive in Australia e fa tre lavori. Ivan, 28 anni, fa il cameriere in Irlanda. Mattia è partito per Toronto come turista e non è più tornato.
Veronica, Ivan, Mattia fanno parte di numeri più grandi che riflettono una drastica emigrazione professionale. I dati pubblicati sulla G.U., riferiti al 31 dicembre 2012, fotografano questa triste realtà: gli italiani residenti all’estero sono 4.341.156, 132.179 in più rispetto al 2011.
Secondo l’ISTAT 50.000 italiani hanno detto addio all’Italia nel 2011, viaggiando soprattutto verso la Germania (circa 7.000), la Svizzera (circa 6.000) e la Gran Bretagna (circa 5.000). Paesi seguiti da: Francia, USA, Spagna, Brasile, Argentina, Australia e Venezuela.
L’AIRE (l’Anagrafe della popolazione Italiana Residente all’Estero) rincara la dose: la fascia anagrafica più interessata dal fenomeno è quella tra i 20 e i 40 anni. Gli emigrati italiani di questa fascia sono passati da 27.616 del 2011 a 35.435 nel 2012: 57% uomini, 43% donne. A livello geografico parliamo soprattutto di: 13.156 persone provenienti dalla Lombardia, 7.456 del Veneto, 7.003 della Sicilia, 6.134 del Piemonte, 5.952 del Lazio e 5.240 della Campania.
Perché si dice addio all’Italia? Per lavoro, per iniziare un percorso di crescita, per essere apprezzati, per veder riconosciuti i propri studi, per ritrovare quell’entusiasmo che l’Italia uccide nella precarietà, nella disoccupazione, nelle porte chiuse in faccia ai giovani in cerca di futuro. Perché l’Italia, come scrive un blogger, “ha bruciato ogni mia residua energia imprenditoriale”.
Se dalla parte di “chi fugge” c’è tanta rabbia e malinconia per il proprio Paese, dall’altra su questo Paese ricadranno conseguenze:
- socio-demografiche: il Paese invecchia e perde una generazione;
- culturali: la “generazione perduta”, vittima della disoccupazione giovanile, è anche la più istruita;
- economiche: ricaduta sul PIL del Paese di partenza.
In cerca di futuro
Veronica Motto, 25 anni, laureata in comunicazione, aveva un lavoro in una concessionaria, ma si sentiva “immobile e grigia”, così ha preso la valigia ed è volata a Sidney, dove “se ti sforzi un pò, le cose si muovono, accadono”. Veronica fa tre lavori: 2-3 giorni a settimana fa la commessa da Zara per 21 dollari l’ora, circa 800 euro al mese, altri due giorni lavora da Foxtel, l’omologa australiana di Sky (si occupa di curare l’interfaccia grafica per Ipad e Iphone) e, infine, un giorno a settimana collabora con una start up che produce ballerine personalizzabili, soprattutto per il mercato cinese.
Quali sono le differenze che ha notato rispetto all’Italia? Le opportunità, un ambiente lavorativo rilassante, il rispetto del tempo libero:
“Qui le giornate sono più semplici e lo stile di vita rilassato. Io mi sono disintossicata dall’ansia da lavoro, che mi portava chiedere a qualunque persona incontrassi ‘lavori?’”.
Ivan, 28 anni, è un ragazzo di Salerno che vive a Dublino da qualche mese. Aveva un lavoro in una società di analisi televisiva, lavorava anche i week end, era precario e guadagnava 500 euro al mese, finchè poi è arrivato il coraggio di cambiare. Ora fa il cameriere in un albergo.
“Qui il lavoro più umile è pagato 8,65 euro all’ora. Per un lavoro da laurea il minimo è di 2300-2400 euro al mese. I sacrifici prima o poi saranno ripagati, no?”.
Ivan sogna di fare il giornalista, in Italia ha lavorato in un giornale per due anni, senza rimborso spese e con la promessa di essere assunto tra 5-6 anni. Tornerebbe in Italia?
“Tornerei di corsa, perché nonostante tutto amo il mio Paese. Ma ho quasi 30 anni e noi siamo già dei piccoli esodati”.
Mattia è partito per Toronto come turista e non è più tornato perché ha trovato lavoro presso il “Corriere Canadese”, che però dopo circa 60 anni di attività è fallito:
“Nonostante aver perso il lavoro e vedere morire un giornale con 59 anni di storia, mi sento fortunato a vivere in Canada, Paese che ti offre molte possibilità, dove si respira un’aria più leggera, di speranza e di rispetto. Dove gli immigrati come me vengono considerati una risorsa e non un peso di cui sbarazzarsi in fretta”.
A questo coro si aggiunge Leo, laureato in editoria. Vive a Francoforte, da dove gli è arrivata l’offerta di lavoro che cercava: Game Tester di lingua italiana:
“In parole povere gioco ai videogiochi e controllo che siano privi di errori linguistici e culturali. Un pò come un proofreader ed editor della carta stampata, solo applicato ai videogames”.
Secondo Leo c’è solo una soluzione per l’Italia: il reddito di cittadinanza.
“Chi è disoccupato da tanto tempo è costretto ad accettare condizioni salariali e contrattuali misere e lavori in nero per sopravvivere e dare uno scopo alla propria vita. Un reddito di cittadinanza metterebbe fine al ricatto. Si dirà che in questo modo molte aziende saranno costrette a chiudere perché non più in grado di sostenere i costi del lavoro. Ebbene, forse quelle aziende sul mercato non ci dovevano entrare fin dall’inizio”.
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