Precedenza ai lavoratori e alle lavoratrici con almeno 3 figli (di cui almeno uno minore di 10 anni) nella trasformazione da full-time a part-time. E arriva il bonus da 6.000 euro.
Più tempo da dedicare ai figli: è una delle richieste più frequenti tra i lavoratori con carichi familiari, che spesso domandano la trasformazione del contratto da tempo pieno a part-time.
Oggi, però, nella maggior parte dei casi la decisione resta nelle mani del datore di lavoro. Il diritto alla riduzione dell’orario è infatti riconosciuto solo in situazioni particolari, come per i neogenitori che scelgono il part-time in alternativa al congedo parentale - con una riduzione fino al 50% - oppure per i dipendenti colpiti da malattie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative.
Per tutti gli altri genitori, quando la richiesta non rientra in queste casistiche, la trasformazione del contratto dipende esclusivamente dalla disponibilità dell’azienda.
Da gennaio 2026, però, ci sarà un importante cambiamento per una categoria ben precisa: le lavoratrici e i lavoratori con almeno tre figli conviventi, di cui almeno uno sotto i dieci anni. In questo caso il datore di lavoro sarà incentivato ad accogliere la domanda, grazie a uno sgravio contributivo totale sulla propria quota di contributi per l’intero periodo in cui il dipendente lavorerà con orario ridotto.
Per l’azienda questo comporterà un risparmio significativo, dato che alla riduzione del costo del lavoro dovuta al minor orario si aggiungerà l’azzeramento dei contributi. Un beneficio che, di fatto, può essere reinvestito per procedere a una nuova assunzione o per riorganizzare il reparto, compensando le ore non lavorate dal dipendente che passa al part-time. Una misura, quindi, che punta a facilitare la conciliazione tra vita familiare e professionale senza penalizzare le imprese, creando un equilibrio più sostenibile tra esigenze dei lavoratori e costi aziendali.
Trasformazione da full-time a part-time per i lavoratori con figli dall’1 gennaio 2026
Va subito specificato che dall’1° gennaio 2026 non cambiano le regole generali sulla facoltà del datore di lavoro di accogliere o meno la richiesta di trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time da parte di un lavoratore con figli. L’articolo 49 del testo della legge di Bilancio introduce però due novità rilevanti: da un lato stabilisce una priorità aziendale per alcuni nuclei familiari, dall’altro introduce un incentivo economico per le imprese che accolgono tali domande.
In pratica, quando un’azienda deve valutare più richieste di riduzione dell’orario, dovrà dare precedenza ai lavoratori e alle lavoratrici con almeno tre figli, di cui almeno uno di età inferiore ai 10 anni. Il limite anagrafico non si applica se uno dei figli ha una disabilità: in questo caso la priorità vale sempre. Ne consegue che un’impresa non potrà concedere la trasformazione a un dipendente che non rientra in queste categorie se, in coda, è presente una richiesta di un lavoratore che possiede i requisiti di priorità previsti dalla legge.
La disposizione si applica a tutte le tipologie di part-time (orizzontale, verticale o misto) e anche alle richieste di semplice rimodulazione dell’orario già ridotto. L’unico vincolo è che la trasformazione comporti una diminuzione dell’orario di lavoro di almeno il 40%.
L’incentivo per il datore di lavoro
Come anticipato, il principale motivo che può spingere il datore di lavoro ad accogliere la richiesta di trasformazione è lo sgravio contributivo previsto dalla manovra. Con il passaggio al part-time scatta infatti un beneficio che può arrivare fino a 3.000 euro l’anno, applicato esclusivamente sulla quota contributiva a carico dell’azienda, pari al 23,81% della retribuzione annua lorda. Resta invece invariata la quota a carico del lavoratore, il 9,19%, motivo per cui il dipendente non ottiene alcun vantaggio economico immediato: la riduzione dell’orario - e quindi dello stipendio - va quindi valutata esclusivamente in funzione delle esigenze familiari e della necessità di conciliare vita privata e professionale, non in ottica retributiva.
Ricordiamo che lo sgravio riguarda i lavoratori dipendenti che rientrano nella casistica prevista dal comma 1, ossia coloro che accedono alla trasformazione del contratto senza una riduzione del monte ore complessivo dell’azienda. La durata massima dell’agevolazione è di 24 mesi, il che significa che il datore di lavoro può ottenere un risparmio complessivo fino a 6.000 euro nell’arco di due anni.
È importante precisare che dallo sgravio restano esclusi i premi e i contributi dovuti all’Inail, i rapporti di lavoro domestico, quelli di apprendistato e, più in generale, tutte le situazioni in cui il datore di lavoro beneficia già di altri esoneri o riduzioni contributive: la misura, infatti, non è cumulabile con ulteriori agevolazioni previste dalla normativa vigente.
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