TFR se azienda fallisce, chi paga e come recuperarlo nel 2025

Simone Micocci

14 Luglio 2025 - 16:10

Se l’azienda fallisce il Tfr si perde? No, ecco cosa devi fare per recuperarlo.

TFR se azienda fallisce, chi paga e come recuperarlo nel 2025

Cosa succede al Tfr se l’azienda fallisce?” È una domanda che molti lavoratori si pongono, soprattutto in un periodo economico incerto come quello che stiamo vivendo. Non è raro, infatti, temere che la crisi di un’impresa possa mettere a rischio anche il trattamento di fine rapporto, cioè la somma accantonata negli anni e destinata a diventare una sorta di liquidazione alla fine del rapporto di lavoro.

Molti dipendenti decidono di lasciare il Tfr in azienda, nella convinzione di ritirarlo in un’unica soluzione quando termineranno il proprio lavoro. Ma il timore cresce quando l’impresa entra in difficoltà finanziarie o, peggio, avvia una procedura fallimentare. La domanda diventa allora più pressante: se l’azienda fallisce, chi sarà a pagare il Tfr?

Si rischia davvero di perderlo? La risposta, fortunatamente, è rassicurante. Anche se il datore di lavoro non ha più liquidità, il diritto al Tfr non viene perso. In Italia esiste una tutela precisa: il Fondo di Garanzia dell’Inps, che interviene proprio nei casi in cui l’impresa non sia più in grado di onorare i propri debiti verso i lavoratori.

Tuttavia, per ottenere il Tfr in caso di fallimento, è necessario seguire una procedura legale che prevede alcuni passaggi obbligatori. Non è quindi automatico ricevere subito quanto spetta, e spesso occorre pazienza prima che l’Istituto liquidi la somma dovuta.

A tal proposito, in questo articolo vedremo come funziona il recupero del Tfr se l’azienda fallisce nel 2025, chi paga effettivamente la buonuscita e quali sono i tempi e i documenti necessari per far valere i propri diritti.

Cosa succede ai lavoratori quando l’azienda fallisce

Quando un’azienda fallisce, le conseguenze non riguardano solo il datore di lavoro ma anche tutti i dipendenti. Il fallimento comporta infatti la sospensione dei rapporti di lavoro, perché la gestione dell’impresa passa nelle mani del curatore fallimentare nominato dal tribunale.

Ciò significa che, almeno inizialmente, i lavoratori non vengono automaticamente licenziati, ma non possono nemmeno continuare a lavorare, né hanno diritto alla retribuzione durante il periodo di sospensione. È una situazione di incertezza che può durare diverse settimane o anche mesi, in attesa delle decisioni del curatore.

Spetta infatti al curatore fallimentare stabilire se proseguire temporaneamente l’attività aziendale, il cosiddetto esercizio provvisorio, o se cessarla subito. Nel dettaglio, durante l’esercizio provvisorio il curatore può scegliere di mantenere in servizio solo quei dipendenti indispensabili per attività come la vendita delle merci rimaste in magazzino o la gestione delle commesse ancora in corso. Non è detto, quindi, che tutti i lavoratori vengano mantenuti in organico.

Ma attenzione: se il curatore decide di licenziare i dipendenti, deve comunque rispettare tutte le regole previste dalla legge sui licenziamenti individuali o collettivi.

Inoltre, la legge prevede uno strumento di tutela per i lavoratori sospesi: l’articolo 72 della Legge Fallimentare consente al lavoratore di “mettere in mora” il curatore, obbligandolo a decidere entro 60 giorni se proseguire o sciogliere definitivamente il rapporto di lavoro.

Insomma, il fallimento non implica la perdita immediata del posto di lavoro, ma crea un periodo di stallo e di forte incertezza, in cui i dipendenti restano in attesa di capire quale sarà il loro futuro occupazionale e, soprattutto, come e quando potranno riscuotere il Tfr e le eventuali retribuzioni arretrate.

Cosa può fare il lavoratore se l’azienda fallisce

Di fronte al fallimento dell’azienda, è normale sentirsi spaesati e temere di perdere tutto, ma è importante sapere che il lavoratore ha strumenti a propria disposizione per tutelare i propri diritti.

La prima cosa da fare è mantenersi informati sulla procedura fallimentare. Dopo la dichiarazione di fallimento, il tribunale nomina un curatore fallimentare, che diventa il punto di riferimento per tutte le questioni legate all’impresa, compresi i crediti dei dipendenti.

Chi vuole recuperare il Tfr, insieme alle eventuali retribuzioni arretrate, deve quindi presentare la domanda di ammissione al passivo fallimentare, comunicando ufficialmente al curatore l’esistenza del proprio credito e allegando la documentazione che lo dimostra, come buste paga, lettere di assunzione o conteggi aziendali.

Dopodiché parteciperà all’udienza in tribunale dove il giudice verifica e approva l’elenco dei crediti. Solo una volta che il credito del lavoratore è stato accertato in questa fase, si può chiedere il pagamento al Fondo di Garanzia dell’Inps, che interviene per liquidare il Tfr e, se spettano, anche le ultime mensilità non corrisposte.

Anche se la procedura può sembrare complessa, è importante non arrendersi né rinunciare a far valere i propri diritti. Spesso è utile farsi assistere da un sindacato, da un patronato o da un avvocato specializzato in diritto del lavoro e fallimentare, per evitare errori che potrebbero rallentare i tempi o compromettere la possibilità di ottenere quanto spettante.

Entro quando si può recuperare il Tfr se l’azienda fallisce

La legge stabilisce dei termini precisi entro cui agire per non rischiare la prescrizione del proprio credito.

Per quanto riguarda il Tfr, il lavoratore ha 5 anni di tempo dalla cessazione del rapporto di lavoro per far valere il proprio diritto e presentare domanda al Fondo di Garanzia dell’Inps. Trascorso questo termine, il rischio è di perdere definitivamente la possibilità di recuperare quanto spettante.

Diverso è il discorso per gli stipendi non pagati, che sono tutelati solo per le ultime 3 mensilità non corrisposte prima della cessazione del rapporto. In questo caso, la domanda al Fondo di Garanzia deve essere presentata entro un anno dalla maturazione della terzultima mensilità, cioè dal momento in cui il credito è diventato esigibile.

Non bisogna sottovalutare questi termini, perché possono fare la differenza tra riuscire a ottenere il pagamento e perdere il diritto a riscuotere le somme dovute. È quindi fondamentale, in caso di fallimento dell’azienda, attivarsi tempestivamente, raccogliere tutta la documentazione utile e avviare le procedure necessarie, sia per l’ammissione al passivo fallimentare sia, in seguito, per la richiesta al suddetto Fondo di Garanzia.

Anche quando l’azienda non è ufficialmente fallita ma è comunque insolvente, infatti, resta necessario dimostrare di aver tentato senza successo il recupero del credito, ad esempio tramite pignoramento o altre azioni legali, prima di poter chiedere l’intervento dell’Inps.

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