Separazione con addebito se la moglie smette di cucinare e fare il bucato, cosa dice davvero la sentenza

Ilena D’Errico

16 Luglio 2023 - 15:18

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Separazione con addebito per la moglie che smette di cucinare e fare il bucato? Possibile secondo la Corte di cassazione, ecco cosa dice davvero la sentenza.

Separazione con addebito se la moglie smette di cucinare e fare il bucato, cosa dice davvero la sentenza

Se la moglie smette di cucinare e fare il bucato rischia l’addebito della separazione, questo è quello che ha stabilito una recente sentenza della Corte di cassazione, ma, come si può ben immaginare, la questione è ben più ampia di così. Non a caso, i giudici hanno rimesso la questione alla pronuncia in sede di rinvio, anche se nel frattempo hanno ammesso la possibilità di accogliere il ricorso del marito.

Quest’ultimo, infatti, aveva chiesto la separazione con addebito a carico della moglie, la quale – dopo aver cambiato fede religiosa – ha smesso completamente di contribuire nella vita familiare. Nello specifico, la donna ha smesso di occuparsi del ménage familiare, abbandonando le faccende domestiche come cucinare e fare il bucato, adottando un atteggiamento assente nei confronti del marito.

I giudici della Cassazione hanno ritenuto mancassero alcuni elementi essenziali per poter procedere con una sentenza definitiva, ma hanno comunque confermato il possibile addebito della separazione, che era invece stato negato dal tribunale di primo grado. Vediamo cosa dice davvero la sentenza in oggetto.

Separazione con addebito se la moglie smette di cucinare e fare il bucato, la Cassazione

L’ordinanza n. 19502/2023 della Corte di cassazione riconosce il possibile addebito della separazione a carico della moglie del ricorrente. La richiesta si basa sulla conversione di fede della donna, in seguito alla quale ha smesso di occuparsi delle faccende domestiche. In particolare, secondo le testimonianze, la moglie ha smesso di cucinare e fare il bucato, in conseguenza del tempo passato al computer e nella congregazione religiosa.

In sé e per sé, la fede religiosa non può essere causa dell’addebito della separazione. L’articolo 19 della Costituzione italiana tutela, infatti, la libertà di fede religiosa. Possono, tuttavia, causare un addebito della separazione eventuali comportamenti incompatibili con la vita coniugale, anche se sorti per motivi di tipo religioso.

Nello specifico, la Cassazione ha riconosciuto l’ammissibilità della richiesta, in quanto configurabile con una violazione dei doveri coniugali. I giudici di merito, tuttavia, non hanno potuto determinare se questo fosse il caso. Ai fini della separazione con addebito, difatti, è necessario che la condotta lamentata sia stata la causa della crisi matrimoniale e non una sua conseguenza.

La questione è dunque stata rimessa ai giudici del rinvio, che dovranno acquisire un nuovo esame della situazione coniugale e apprendere le informazioni necessarie per determinare l’inizio e il motivo della crisi coniugale che ha portato poi alla separazione. Ciò che appare rilevante per il momento è la configurabilità delle faccende domestiche come doveri coniugali, insieme alla vicinanza affettiva.

Cucinare e fare il bucato sono doveri coniugali?

Annoverare le faccende domestiche, come cucinare e fare il bucato, nei doveri coniugali potrebbe apparire anacronistico e superato. In realtà, sarebbe errata una valutazione di questo genere, perché la definizione dei doveri coniugali non ha a che vedere con il genere del coniuge ed è comunque facilmente adattabile a diverse epoche.

Non bisogna comunque dimenticare che, a lato degli aspetti puramente morali e affettivi, il matrimonio crea un vero e proprio vincolo giuridico tra i coniugi, con diritti e doveri reciproci. I doveri coniugali sono genericamente definiti dall’articolo 143 del Codice civile, nel quale si fa riferimento a:

  • Fedeltà;
  • coabitazione;
  • assistenza morale e materiale;
  • collaborazione nell’interesse familiare.

La collaborazione comprende anche lo svolgimento delle faccende domestiche e tutto ciò che concerne la gestione della casa, su cui i coniugi possono trovare di comune accordo la migliore suddivisione e – sempre di comune accordo – cambiarla quando necessario. Sempre l’articolo 143, in modo specifico, stabilisce infatti che:

Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.

Non ci sono limiti specifici in tal senso, uno dei coniugi può contribuire economicamente e l’altro con il lavoro casalingo, possono lavorare entrambi e suddividersi gli altri compiti o pagare qualcuno che se ne occupi. Insomma, i coniugi sono liberi di organizzare la gestione nel modo che preferiscono, purché ognuno faccia la propria parte.

È bene ricordare che non c’è alcuna differenza tra moglie e marito, così come sono previste eccezioni ai doveri in caso di necessità diverse, ad esempio per ragioni di salute, caso in cui è invece doveroso assistere il coniuge malato. In ogni caso, la violazione di questi doveri comporta l’addebito della separazione quando è la causa della crisi coniugale. Tornando alla sentenza citata, nel caso in cui i coniugi fossero già in crisi per altre ragioni verrebbe escluso l’addebito della separazione a carico della moglie.

Al contrario se il coniuge, in modo ingiustificato, smette di contribuire ai bisogni familiari nel modo che era stato pattuito o comunque non si adopera diversamente, riceve l’addebito della separazione. In questo caso, infatti, la violazione dei doveri coniugali ha direttamente causato la rottura dell’equilibrio matrimoniale.

Nell’analisi non si deve dimenticare anche della componente affettiva. Ad esempio, il marito ha lamentato che la moglie trascorreva molto tempo al pc, creando una situazione da “separati in casa”. Questo potrebbe essere un altro fattore che ha contribuito alla separazione ed essere motivo di addebito, a meno che non ci fossero cause preesistenti.

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