Lo scudo penale per i medici è stato approvato (ed esteso) dal governo: ecco come funziona e cosa comporterà da adesso in poi.
Il Consiglio dei Ministri del 4 settembre 2025 ha dato il via libera a un disegno di legge delega volto a rendere strutturale lo scudo penale per i medici, una norma che limita la loro responsabilità penale ai soli casi di colpa grave, qualora siano rispettate le linee guida e le buone pratiche clinico-assistenziali.
Tale riforma è destinata a ridurre significativamente la cosiddetta medicina difensiva, pratica che, oltre a gravare sui bilanci sanitari e allungare le liste d’attesa, è stimata costare all’Italia circa 11 miliardi di euro l’anno. Nonostante sia ancora in corso l’iter parlamentare, il provvedimento nelle intenzioni promette di bilanciare efficacemente tutela dei professionisti e diritti dei pazienti, in un contesto normativo allineato agli standard internazionali. Ma come funzionerà davvero in Italia? Sarà effettivamente così?
Cos’è lo scudo penale e cosa ha deciso il CdM
Lo scudo penale per i medici non implica l’impunità, bensì introduce un principio di maggiore comprensione del contesto in cui si esercita la professione sanitaria. In casi di omicidio colposo (art. 589 c.p.) o lesioni personali colpose (art. 590 c.p.), il medico è perseguibile penalmente solo in presenza di colpa grave, a condizione che abbia operato conformemente alle linee guida e alle buone pratiche assistenziali adeguate al caso concreto.
Il recente via libera del CdM, contenuto nel disegno di legge delega approvato il 4 settembre 2025, punta a stabilizzare questa protezione, rendendola parte integrante della disciplina delle professioni sanitarie. I ministri competenti, Salute e Giustizia, hanno sottolineato che l’obiettivo è consentire ai medici di operare con serenità, senza spreco di energie dovute al timore di contenziosi, ma senza minare i diritti dei pazienti.
Nell’accertamento della colpa o del grado della colpa, il giudice dovrà valutare una serie di circostanze attinenti alla realtà operativa: la scarsità di risorse umane e materiali, le carenze organizzative non imputabili al sanitario, la limitatezza delle conoscenze scientifiche disponibili, la complessità della patologia, le situazioni di urgenza o emergenza, e il ruolo specifico del medico all’interno di un contesto multidisciplinare. Insomma, diversi aspetti che, per una parte dell’opinione pubblica, porterebbe il rischio di «annacquare» le colpe in casi specifici.
L’intento dichiarato è contrastare la medicina difensiva, che induce prescrizioni eccessive e costose, senza reale beneficio clinico, causando ritardi e inefficienze nel sistema. Allo stesso tempo, resta fermo il diritto dei cittadini al risarcimento dei danni tramite il giudice civile, in presenza di dolo o colpa grave, come previsto anche dall’articolo 2236 del Codice civile per casi di imperizia in settori di particolare complessità.
Quando è stato introdotto lo scudo penale per i medici?
L’origine dello scudo penale per i medici risale alla gestione dell’emergenza sanitaria connessa alla pandemia di Covid-19. Nel 2021, il legislatore italiano introdusse una limitazione della responsabilità penale, rivolta ai sanitari impegnati nella lotta alla pandemia, che li rendeva perseguibili solo nei casi di colpa grave o dolo, escludendo le ipotesi di negligenza lieve, in considerazione della situazione critica e dell’insufficienza di risorse.
Questa misura era stata concepita come straordinaria e temporanea, con naturale scadenza entro la fine del 2021, ma successivamente è stata oggetto di proroghe ripetute. Fino a quando non è intervenuta la più recente proroga contenuta nel Decreto Milleproroghe 2025, approvato a fine 2024 e convertito in legge nel febbraio 2025, che ha esteso lo scudo penale fino al 31 dicembre 2025.
In particolare, la Legge n. 15 del 21 febbraio 2025, che ha convertito il Decreto Milleproroghe, ha mantenuto in vigore la limitazione della punibilità penale per dolo e colpa grave, applicabile agli esercenti una professione sanitaria in contesti caratterizzati da grave carenza di personale.
Queste proroghe si inseriscono in un quadro di necessità di riforma organica della responsabilità medica, sostenuta da diversi ordini professionali, sindacati e ministri. Tuttavia, fino al recente disegno di legge delega approvato dal CdM, non si era raggiunta una soluzione definitiva.
Cause sì, cause no: cosa comporta lo scudo penale e come funziona
Lo scudo penale stabilisce una distinzione chiara tra i contesti in cui il medico è perseguibile penalmente e quelli in cui è invece tutelato.
Cause sì: quando avviene la punibilità
- Colpa grave: il medico può essere perseguito se ha operato in modo imprudente, negligente o avente dolo, anche in presenza di linee guida.
- Inosservanza delle linee guida o delle buone pratiche: se il professionista non segue protocolli obbligatori o mostra un comportamento chiaramente negligente, distratto o avventato, lo scudo non opera.
In tal caso, la responsabilità penale è pienamente operativa, con possibilità di sanzioni secondo il codice penale.
Cause no: quando la punibilità è limitata
In parte ne abbiamo già parlato dei paragrafi precedenti, ma è meglio fare ordine. Possiamo distinguere la punibilità limitata in due grandi filoni di casistiche operative.
- Adeguata osservanza delle linee guida e buone pratiche: la punibilità è limitata alla colpa grave se il medico ha operato secondo raccomandazioni consolidate e adeguate al caso concreto.
- Contesto operativo critico: la norma chiede di considerare nella valutazione anche: la scarsità di personale e materiali, le carenze organizzative non imputabili, la complessità della patologia, l’urgenza o emergenza, i limiti delle conoscenze scientifiche, e il ruolo multidisciplinare.
Funzionamento step by step nella pratica giudiziaria
Nella pratica giudiziaria, il funzionamento dello scudo penale segue un percorso preciso ma reso più comprensibile da una lettura contestuale dei fatti. In primo luogo, il giudice è chiamato a valutare il comportamento del medico, verificando se l’attività svolta sia stata conforme alle linee guida riconosciute e alle buone pratiche clinico-assistenziali applicabili al caso concreto. Non ci si limita, tuttavia, a un confronto astratto: occorre tenere conto anche delle condizioni effettive in cui il professionista ha operato.
Viene, quindi, svolta una contestualizzazione attenta, che prende in considerazione elementi come la disponibilità di risorse umane e materiali, la complessità della patologia trattata, l’eventuale situazione di urgenza o emergenza e, più in generale, tutte quelle circostanze che possono avere inciso sulla possibilità di agire diversamente.
Solo dopo questa analisi il giudice procede alla determinazione del grado di colpa. La responsabilità penale scatta esclusivamente se emergono deviazioni gravi o comportamenti qualificabili come negligenti o imprudenti. Al contrario, nei casi in cui il margine d’errore sia minimo o dipenda da fattori esterni difficilmente controllabili, lo scudo penale entra in gioco e limita la punibilità.
L’effetto atteso da questo meccanismo è duplice: da un lato ridurre i contenziosi penali poco fondati, dall’altro abbassare i costi legali generati dai contenziosi stessi. Ciò avviene senza pregiudicare il diritto delle vittime ad ottenere un giusto indennizzo. Tuttavia, molti rappresentanti istituzionali, come FNOMCeO e Anaao-Assomed, hanno già sottolineato un punto critico: la necessità di una definizione chiara e univoca di “colpa grave”. Solo così la norma potrà davvero garantire un equilibrio concreto tra protezione dei professionisti e tutela dei cittadini, evitando che si trasformi in uno scudo troppo generico e rischioso, sotto tutti i punti di vista.
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