La sorprendente impennata del dollaro taiwanese rivela i dilemmi strategici dell’Asia: reggere la pressione valutaria o cercare tregua in una nuova era di tensioni commerciali.
La recente e repentina impennata del dollaro taiwanese — un +6% in appena due giorni — ha scoperchiato un dilemma latente che percorre tutta l’Asia: quanto possono ancora apprezzarsi le valute regionali senza compromettere la competitività delle esportazioni, in un contesto in cui la guerra commerciale con gli Stati Uniti si fa sempre più aggressiva?
Tradizionalmente, la deprezzamento valutario rappresenta l’arma privilegiata per assorbire gli shock derivanti da rallentamenti dell’export o da pressioni tariffarie. Eppure, proprio mentre l’America alza le barricate, molte monete asiatiche si muovono nella direzione opposta.
Il boom del dollaro taiwanese, che secondo alcune voci sarebbe stato favorito da una presunta intesa con Washington — ipotesi smentita con forza dalle autorità taiwanesi — non è stato un caso isolato. A cascata, anche il won sudcoreano ha registrato il suo maggior rialzo in due giorni da quindici anni, mentre il yuan offshore cinese ha raggiunto i massimi da sei mesi. Persino il renminbi onshore ha aperto con un balzo significativo alla riapertura dei mercati cinesi. In un’azione senza precedenti dal 2018, l’Autorità Monetaria di Hong Kong ha venduto 6 miliardi di dollari locali per evitare che la valuta superasse il limite superiore del suo range ufficiale. E ancora: la rupia indiana, il rupiah indonesiano e il dong vietnamita, finora in sofferenza, hanno iniziato una fase di recupero. [...]
Accedi ai contenuti riservati
Navighi con pubblicità ridotta
Ottieni sconti su prodotti e servizi
Disdici quando vuoi
Sei già iscritto? Clicca qui
© RIPRODUZIONE RISERVATA