I ritardi nei pagamenti in Italia minacciano la competitività. PMI le più colpite. È necessario un cambio culturale oltre le norme per prevenire insoluti e proteggere la liquidità.
In Italia i ritardi nei pagamenti non sono un’eccezione, ma una prassi ormai radicata. È un fenomeno che attraversa settori, territori e dimensioni aziendali, e che ha conseguenze profonde sulla salute finanziaria delle imprese. Dietro le scadenze mancate non ci sono solo problemi amministrativi, ma liquidità che si blocca, progetti che si fermano e rapporti di fiducia che si incrinano.
Un contesto economico poco favorevole
L’economia europea non offre un terreno fertile per superare queste difficoltà. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2025 il PIL dell’UE crescerà appena dell’1%, una stima già ridotta rispetto all’1,5% previsto l’anno scorso. Non solo: le tensioni geopolitiche e commerciali, sempre più frequenti, lasciano presagire ulteriori revisioni al ribasso.
Sul fronte dei prezzi, l’inflazione, pur ridimensionata rispetto al picco del 10,6% toccato nel 2022, resta al di sopra del 2% fissato dalla Banca Centrale Europea. Per molte imprese, questo significa costi più alti da sostenere, margini ridotti e minore capacità di rispettare le scadenze di pagamento. In altre parole, un contesto in cui il rispetto dei termini pattuiti diventa ancora più difficile, ma al tempo stesso ancora più necessario.
Un problema strutturale
Se allarghiamo lo sguardo all’Italia, il quadro che emerge è ancora più critico. I dati del Payment Observatory 2024 mostrano come la puntualità nei pagamenti dipenda in larga parte dalla dimensione dell’impresa. Le microimprese saldano nei tempi il 43% delle fatture, le grandi aziende solo il 15%. È il paradosso di un sistema in cui i più piccoli – pur con meno risorse – cercano di rispettare gli impegni, mentre i più grandi sfruttano la loro forza contrattuale per spostare il peso finanziario lungo la filiera.
Le differenze non riguardano solo le dimensioni, ma anche i settori. Nei servizi finanziari, più della metà delle fatture (54%) viene pagata entro i termini. Nel commercio al dettaglio, invece, la quota scende al 31%. Edilizia e manifattura restano stabili, segnalando criticità croniche in comparti fondamentali per l’economia italiana.
Secondo l’European Payment Report 2025, in Europa l’11% dei ricavi aziendali viene pagato in ritardo ogni anno. In Italia, questa percentuale si traduce in conseguenze tangibili: il 59% delle imprese afferma che i ritardi hanno bloccato l’ampliamento dell’offerta, il 60% li vede come un freno alla sostenibilità e il 46% li collega a difficoltà nelle assunzioni. Non si tratta quindi di semplici numeri: tutto questo si trasforma in investimenti mancati, posti di lavoro non creati, innovazioni rinviate.
Preoccupante è anche l’atteggiamento abituale delle imprese italiane: il 56% accetta termini di pagamento più lunghi pur di non perdere il cliente. Una scelta comprensibile nell’immediato, ma che porta ad alimentare un circolo vizioso, in cui il ritardo da eccezione diventa regola, e il costo viene scaricato a cascata lungo tutta la catena di fornitura.
L’osservatorio Creditsafe: come impattano i ritardi di pagamento sul vissuto delle imprese italiane?
L’indagine dell’Osservatorio Creditsafe è stata condotta su un campione rappresentativo di 500 imprese italiane, selezionate tra i settori più rappresentativi, dimensione e area geografica, per fotografare in modo accurato lo stato dei pagamenti nel tessuto imprenditoriale nazionale. Il questionario ha raccolto le esperienze dirette delle aziende negli ultimi dodici mesi, offrendo una visione concreta e aggiornata delle difficoltà più diffuse.
Dalle interviste al campione rappresentativo emerge che negli ultimi dodici mesi, il 77% delle imprese italiane ha subito ritardi nei pagamenti. Non si tratta di episodi isolati, ma di una costante che riguarda quasi otto aziende su dieci. I più colpiti sono i settori del commercio (86%) e delle costruzioni (82%), due comparti già messi alla prova dalla volatilità dei mercati e dall’aumento dei costi. Analizzando a livello geografico, invece, osserviamo che nel Centro Italia l’85% delle imprese ha riscontrato ritardi, mentre nel Nord Ovest l’81%.
Il problema, però, non si ferma ai ritardi. Il 66% delle imprese non è riuscito a incassare parte dei propri crediti: insoluti che si trasformano in vere perdite economiche. Nelle grandi imprese la percentuale sale all’80%, nel commercio raggiunge l’85%, mentre nella manifattura resta comunque alta (57%).
Le conseguenze sono immediate. Quasi la metà delle aziende (43%) ha registrato perdite finanziarie dirette, con punte del 53% nelle grandi imprese e del 62% nel commercio. Nel Nord Ovest il dato arriva al 49%. Non si tratta quindi solo di ritardi che complicano la gestione della liquidità, ma di veri buchi nei bilanci.
Interessante è anche la provenienza degli insoluti: il 31% arriva da clienti storici, con cui le imprese collaborano da oltre cinque anni, mentre il 32% da rapporti recenti. È la prova che l’affidabilità non dipende dall’anzianità del legame commerciale, e che il rischio è trasversale a tutta la clientela.
Queste difficoltà hanno ricadute anche sulle opportunità di business. Il 34% delle imprese ha dichiarato di aver rifiutato da 2 a 5 richieste di fornitura nell’ultimo anno per rischio insolvenza, e il 7% di averne respinte più di 10, ostacolando quindi la crescita del mercato.

Una zavorra per la competitività
Quello che emerge è un problema che non riguarda solo i rapporti tra clienti e fornitori, ma la competitività del sistema nel suo complesso. Ogni fattura pagata in ritardo si traduce in liquidità bloccata, ogni insoluto in investimenti rinviati, ogni perdita finanziaria in margini erosi. È un freno che pesa soprattutto sulle PMI, che costituiscono il cuore del tessuto imprenditoriale italiano e che hanno meno strumenti per assorbire gli shock.
La revisione della direttiva europea sui ritardi, che propone un termine unico di 30 giorni e interessi automatici in caso di inadempienza, potrebbe essere un passo avanti. Secondo le stime, circa un quarto dei fallimenti d’impresa è legato a conti non saldati nei tempi previsti, che mettono soprattutto le PMI in una situazione critica di liquidità. Ma le norme da sole non bastano senza un cambio culturale.
Prevenire i mancati pagamenti
Eliminare del tutto il rischio di ritardi e insoluti è impossibile, ma è possibile ridurlo adottando un approccio più attento e basato sui dati. Conoscere in anticipo la solidità finanziaria dei propri partner, intercettare i segnali di difficoltà e monitorare in modo costante l’evoluzione dei rapporti commerciali sono passi cruciali per proteggere la liquidità aziendale. In un contesto in cui oltre due imprese su tre hanno sperimentato insoluti nell’ultimo anno, la capacità di orientarsi attraverso informazioni affidabili diventa un fattore competitivo decisivo.
In collaborazione con Creditsafe Italia
© RIPRODUZIONE RISERVATA