Dopo mesi di ottimismo, i segnali di stagflazione tornano a farsi sentire, con dati economici deboli, tariffe elevate e pressioni inflazionistiche che mettono in dubbio la ripresa.
Negli ultimi mesi, il termine stagflazione è tornato prepotentemente nelle analisi economiche internazionali. Già dalle elezioni di Trump nel novembre precedente, le sue promesse di aumento delle tariffe avevano spinto molti esperti a prevedere un rallentamento della crescita accompagnato da una inflazione crescente. Anche la Federal Reserve (Fed), nelle sue proiezioni di giugno, aveva segnalato questo rischio, stimando un’inflazione core del 3,1% e una crescita del PIL reale all’1,4% entro la fine del 2025, segnali evidenti di una potenziale stagnazione economica con inflazione elevata.
Tuttavia, durante la primavera e l’inizio dell’estate, diversi indicatori positivi avevano fatto pensare a una ripresa più solida. Il Citi Economic Surprise Index, che misura quanto i dati economici superino le attese, era in territorio positivo per oltre la metà del tempo dall’inizio di giugno, suggerendo un’economia in crescita o addirittura “troppo calda”.
Ma nelle ultime settimane il quadro è cambiato: i dati sul mercato del lavoro di luglio sono risultati deludenti, e il PIL del secondo trimestre ha mostrato segnali di rallentamento, con una contrazione negli investimenti e nella spesa dei consumatori. Anche i dati PMI del settore manifatturiero e dei servizi indicano un’economia che tende alla contrazione, con il prezzo dei servizi che ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 33 mesi. [...]
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