Reddito di cittadinanza, stiamo commettendo un grosso errore (che potrebbe costarci caro)

Simone Micocci

22 Maggio 2023 - 11:24

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Reddito di cittadinanza, la distinzione degli occupabili in due categorie rischia di aggravare la situazione. E i dati Anpal lo confermano.

Reddito di cittadinanza, stiamo commettendo un grosso errore (che potrebbe costarci caro)

Sul Reddito di cittadinanza il governo sta commettendo un grave errore, ossia distinguere gli occupabili in due categorie e colpirne una più dell’altra.

D’altronde, nella definizione di “occupabili” andrebbero comprese tutte quelle persone che sono nella condizione di poter lavorare ma che dopo oltre tre anni di Reddito di cittadinanza non hanno ancora trovato un impiego. Persone che secondo il governo Meloni basterebbe formare e orientare al meglio per far sì che possano essere ricollocate il prima possibile (e anche su questo ci sarebbe da dibattere) e che per questo motivo non prenderanno più il Reddito di cittadinanza dopo il pagamento della settima ricarica mensile del 2023.

Ma non tutti gli occupabili, perché quelli che fanno parte di un nucleo familiare in cui ci sono minorenni, disabili oppure over 60 saranno esclusi dal taglio.

Ci saranno, quindi, occupabili di serie A e occupabili di serie B, per quella che il presidente uscente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha definito come una vera e propria violazione del principio di non discriminazione.

Tuttavia, come spiega il Fatto Quotidiano analizzando i dati Anpal, questa distinzione non ha ragione di esistere: e considerando che si tratta di mettere in campo ancora risorse pubbliche, che rischiamo di spendere male e inutilmente, è bene fare chiarezza perché l’errore commesso dal governo Meloni rischia di costarci molto caro.

Reddito di cittadinanza, occupabili di serie A e di serie B

Ricapitolando, possiamo distinguere gli occupabili - ossia le persone in età compresa tra i 18 e i 59 anni che non hanno impedimenti riguardo all’intraprendere un’attività lavorativa - in due distinte categorie, in base alla composizione del nucleo familiare di cui fanno parte:

  • chi è compreso in un nucleo familiare in cui c’è almeno un componente con meno di 18 anni di età, con più di 60 anni, oppure disabile, avrà diritto al Reddito di cittadinanza per tutto il 2024. Dal prossimo 1 gennaio potranno fare domanda dell’Assegno di inclusione, misura che per molti aspetti richiama al Rdc con la differenza però che gli occupabili non saranno inclusi nel parametro di scala di equivalenza, riducendo così l’importo della misura;
  • chi fa nucleo a sé, oppure fa parte di un nucleo in cui non ci sono componenti che rispondono ai suddetti requisiti, invece, perderà il Reddito di cittadinanza dopo il pagamento della settima mensilità già nel 2023, e il prossimo anno non sarà possibile richiedere l’Assegno di inclusione.

Per entrambi ci sarà poi un secondo beneficio: un’indennità di partecipazione riconosciuta a coloro che intraprenderanno un percorso di formazione comunicandolo al centro per l’impiego che li ha presi in carico, dell’importo di 350 euro al mese da riconoscere per tutta la durata del corso e comunque per non più di 12 mesi. Una misura, quindi, individuale, e per questo “più semplice da controllare” (come dichiarato di recente dalla ministra al Lavoro, Marina Calderone).

Cosa dice l’Anpal sulla distinzione degli occupabili

Secondo i calcoli del governo sono 433 mila gli occupabili appartenenti alla seconda categoria, i quali quindi - per il solo fatto di non far parte di un nucleo che al suo interno presenta minori, disabili o ultrasessantenni - avranno un trattamento di maggior sfavore non potendo accedere ad alcun sostegno se non al Supporto per la formazione e il lavoro di 350 euro al mese.

La domanda è: perché questa distinzione? Si potrebbe pensare che è perché chi non ha persone fragili nel nucleo potrebbe trovare un lavoro più facilmente. Ma come spiega il Fatto Quotidiano, analizzando i dati Anpal, non è così. Come illustrato il 18 maggio scorso dal commissario straordinario di Anpal, Raffaele Tangorra, durante l’audizione in Commissione Affari sociali del Senato per la conversione in legge del decreto Lavoro, al 30 aprile 2023 su un totale di 777 mila beneficiari di Rdc inviati ai centri per l’impiego appena 568 mila sono tenuti al rispetto degli obblighi (gli altri sono quindi esclusi o esonerati, ad esempio perché con figli a carico di età inferiore a 3 anni).

Di questi 568 mila, però, solamente il 13% è nella condizione di poter iniziare subito a lavorare: gli altri sono infatti molto lontani dal mercato del lavoro e potrebbe non bastare un corso di formazione di 12 mesi per colmare questa distanza. Intanto perché circa 443 mila persone, l’80% di chi ha firmato il Patto per il lavoro, sono prive di esperienza lavorativa negli ultimi 3 anni e secondo le previsioni hanno lo zero per cento di possibilità di trovare lavoro nei prossimi 12 mesi.

Come spiega Tangorra, non ci sono distinzioni tra chi è solo e chi invece ha figli a carico: “I profili di occupabilità non sembrano dipendere dalla presenza o meno di figli a carico” sottolinea il commissario straordinario Anpal, aggiungendo poi che “la presenza di figli a carico non dà risultati apprezzabili nel differenziare le distribuzioni di frequenza, in particolare in relazione alla quota attesa di lavoratori work-ready, non diversa dalla media complessiva del 3%”.

L’errore che potrebbe costarci caro

Da più parti è stato riconosciuto che il Reddito di cittadinanza è stato utile per evitare l’esplosione di una bomba sociale nel periodo della pandemia, in quanto è servito a riconoscere un sostegno a quelle famiglie prive di reddito. Si potrebbe pensare che oggi non ci troviamo più in quel particolare momento storico, e fortunatamente è così, ma nonostante ciò le difficoltà non mancano: basti guardare all’aumento dei prezzi, con l’inflazione che sta mettendo in ginocchio sempre più famiglie, per rendersene conto.

Togliendolo si espongono sempre più persone ai rischi della povertà assoluta, con conseguenze anche sul piano sociale.

Rischiamo di spendere dei soldi inutilmente: siamo sicuri che un corso di formazione di 12 mesi sia sufficiente per far sì che la probabilità di trovare lavoro entro il prossimo anno aumenti? E siamo certi che invece tra le famiglie con minori, disabili, over 60, non ci siano invece occupabili “furbetti” che continuano a godere di un sostegno al reddito pur non avendone bisogno?

La distinzione qualitativa rischia di essere un grosso errore che non ci risparmierà dal dare aiuti a chi non ne ha bisogno escludendo invece chi effettivamente non lavora perché non appetibile alle aziende. E se per questi tre anni c’è chi ritiene che il Reddito di cittadinanza è stato solamente uno spreco di risorse, non c’è motivo per credere che con l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione al lavoro andrà diversamente, visto che i problemi che hanno impedito un corretto funzionamento del Rdc rimangono.

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