Questo settore nei guai dopo la minaccia di JPMorgan

Laura Naka Antonelli

30/07/2025

Per JPMorgan la richiesta è più che naturale, a causa dei costi che sta sostenendo. Ma l’accusa contro la banca di Dimon è di voler affossare la competizione.

Questo settore nei guai dopo la minaccia di JPMorgan

Una minaccia, quella di JPMorgan che, se si concretizzasse - e per ora le probabilità che si concretizzi sono particolarmente alte - sarebbe una vera e propria mazzata per un settore finanziario ben preciso, che si era cullato fino a poco fa nella certezza di continuare a beneficiare gratis di un servizio ad hoc, erogato dalla banca numero uno degli Stati Uniti, guidata dal CEO Jamie Dimon.

La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno, nello specifico, per le società appartenenti al comparto fintech e per quelle note come aggregatori di dati, che finora hanno avuto la possibilità di accedere ai dati dei clienti delle banche, messi a disposizione dal gigante USA,sostenendo un costo pari a zero.

Ma le cose sarebbero destinate a cambiare, visto che JPMorgan, stando a quanto si apprende, avrebbe intenzione di consentire l’accesso ai propri sistemi di raccolta dati, a partire già dal mese di ottobre, solo dietro il versamento di commissioni specifiche.

Motivo: i suoi sistemi, in cui sono contenuti i dati richiesti dalle fintech e dagli aggregatori di dati, si stanno facendo sempre più costosi da mantenere.

Bastosta contro le fintech a partire da ottobre? Pomo della discordia l’API access

Stando a quanto riportato dalla CNBC, per ora JPMorgan è in contatto con le società fintech per decidere il da farsi.

Fonti vicine al dossier hanno tuttavia confermato che il gruppo avrebbe in ogni caso intenzione di far scattare le commissioni a partire dal mese di ottobre, fattore che ha già scatenato mille polemiche e ansie nel settore delle fintech, che ha usufruito dei dati gratis per anni.

La questione interessa quello che è noto come API access, ovvero accesso all’API, essendo API l’acronimo di (Application Programming Interface).

Una spiegazione di cosa si intenda per API è stata data dalla banca italiana Intesa SanPaolo, che ha definito l’Application Programming Interface, “una sorta di intermediario software che consente a due applicazioni di parlarsi tra loro, grazie alla direttiva europea nota come PSD2 che obbliga appunto le banche a rendere accessibili anche ad attori esterni queste API ”.

Intesa SanPaolo ha precisato che “i servizi resi accessibili dalla normativa sono fondamentalmente di tre tipi: Account Information, per accedere ai conti correnti tramite applicazioni diverse da quelle bancarie; Payment Initiation, per poter disporre di un ordine di pagamento dal proprio conto corrente tramite altre applicazioni; Fund Confirmation, per verificare la presenza di fondi a copertura dell’importo richiesto per una transazione”.

Così come in Europa, anche negli Stati Uniti finora gli aggregatori di dati e le fintech hanno potuto disporre di questi dati senza effettuare alcun versamento, in linea con quanto stabilito dall’amministrazione USA di Joe Biden, che ha obbligato le banche a mettere a disposizione gratis le informazioni, in linea con il principio noto come “ open banking ”.

Ma i grandi colossi bancari, a quanto pare JPMorgan in primis, hanno lanciato una crociata contro queste regole, che potrebbe a questo punto dare qualche risultato.

A farsi sentire in particolare è il gruppo di Dimon, che ha sottolineato in un memo che “gli aggregatori (di dati) accedono alle informazioni dei clienti diverse volte durante il giorno, anche quando il cliente non sta utilizzando l’APP in modo attivo” e “ queste richieste di accessi stanno tassando i nostri sistemi in modo massiccio ”.

Per avere un’idea del fenomeno, basti pensare che le richieste di accesso, soltanto nel mese di giugno e dei dati solo di JPMorgan, sono state 1,89 miliardi, con la banca guidata da Jamie Dimon che ha rivelato che il numero di richieste di accesso è più che raddoppiato negli ultimi due anni, al punto da costringerla a sostenere costi più alti per mantenere attiva l’infrastruttura, rispetto a quelli che impiegherebbe nel rispondere semplicemente alle domande.

A rischio il business della società Plaid?

JPMorgan ha precisato che molte richieste non sono presentate da parte degli utenti delle APP, ma inoltrate dagli stessi gruppi di fintech, con l’intento di prevenire frodi o di migliorare i rispettivi prodotti.

Nel mirino del colosso sono finite diverse fintech americane, tra le quali spicca in modo particolare il nome di Plaid, società di servizi finanziari che, come le altre, aiuta i propri clienti a gestire in modo più semplice le proprie finanze.

Inevitabilmente, la notizia dell’obiettivo di JPMorgan di iniziare a imporre il pagamento di commissioni a società come Plaid e molte altre ha fatto esplodere negli Stati Uniti l’allarme sulla fine che potrebbero fare diverse aziende attive nel comparto fintech.

Nel caso di Plaid, il timore è che il gruppo, dovendo versare le commissioni per accedere ai dati di JPMorgan, finisca per sostenere ogni anno un costo pari a $300 milioni, mettendo così a rischio la stessa sostenibilità del suo business.

Sale la paura di casi di fallimenti tra fintech e start up. Costi fino al 100% dei ricavi?

A parlare dell’allarme che si sta diffondendo in modo specifico soprattutto tra le start up del comparto fintech è stato un articolo del Financial Times, che ha lanciato un attenti sul pericolo che le commissioni che il colosso di Dimon potrebbe imporre faccia saltare in aria diverse società che offrono servizi finanziari ai loro clienti e che fino a oggi, grazie all’accesso API gratis, hanno potuto portare avanti i loro affari.

Interpellato all’FT Steve Boms, dirigente di Financial Data and Technology Association, gruppo che rappresenta 30 tra società di fintech e aggregatori di dati, ha puntato il dito contro la decisione di JPMorgan, definendo la strategia della banca un tentativo “puro e semplice” di affossare la competizione e di “mettere fuori gioco con una sola mossa tutte le parti terze.

Boms ha fatto poi notare che, tra le società che sono state contattate, e su cui JPMorgan vuole iniziare a imporre il pagamento di commissioni, ci sono alcune che, se i dati non fossero più gratis, dovrebbero sostenere costi che inciderebbero per il 60% e in alcuni casi anche oltre il 100% sui ricavi che incassano ogni anno.

Tra le fintech rappresentate dal Financial Data and Technology Association compaiono Plaid, Fiserv e Intuit.

Il rischio che diverse start up finiscano per fallire viene considerato concreto, se si considera che JPMorgan ha inviato proprio a molte società fintech un vero e proprio listino prezzi, alla fine di giugno.

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