Quali armi Usa sono in Italia?

Ilena D’Errico

24 Giugno 2025 - 23:06

Ecco quali armi statunitensi ci sono in Italia, perché si trovano nel Paese e a cosa servono.

Quali armi Usa sono in Italia?

L’Italia ospita un grande numero di basi americane, una circostanza che in questi giorni delicati è ben impressa nella memoria dei cittadini. Il nostro Paese ospita nel complesso circa 140 basi tra Nato, Usa e comando condiviso. Proprio la condivisione di questi spazi militari non rende semplicissimo catalogare con precisioni le basi, ma alcune di queste ospitano armi statunitensi da non sottovalutare affatto: bombe nucleari Usa e/o Nato presenti in grande numero, nonostante l’Italia non disponga di per sé di questo genere di arsenale.

Questa è chiaramente un’altra circostanza che suscita allarme di questi tempi, soprattutto vista l’escalation tra Iran e Stati Uniti. Non aiuta la situazione il fatto che raramente si parla della presenza di questi ordigni nel nostro territorio, quindi chi ne apprende ora l’esistenza è comprensibilmente sorpreso. Anche perché non si tratta certo di armi di poco conto. Oltretutto, il Belpaese non ha alcuna centrale nucleare attiva, per un insieme di ragioni, e soltanto di recente si è riavvicinato all’idea. Così, non ci si aspetta che abbia un vero e proprio arsenale nucleare a propria disposizione. Le armi Usa in Italia, infatti, sono soggette a una particolare regolamentazione e possono contribuire alla difesa della sicurezza nazionale. Ecco cosa sappiamo.

Quali armi Usa ci sono in Italia: un centinaio di ordigni nucleari

Ad oggi, l’Italia ospita circa 90 bombe nucleari Usa. Quasi un centinaio di ordigni atomici sul territorio italiano, che però non è produttore né le ha comprate. Di fatto, le armi non sono di proprietà dell’Italia, bensì degli Stati Uniti. La questione è però più complessa di così, perché Washington mantiene gli ordigni sul suolo italiano nell’ambito del programma di condivisione nucleare Nato. Questo principio, che vede appunto la cooperazione tra gli Stati membri dell’Alleanza, ha uno scopo prettamente di deterrenza.

La capacità nucleare bellica limitata ad alcune potenze appare così estesa e soprattutto estendibile ad altri Paesi, rappresentando un fronte compatto e temibile dinanzi a eventuali minacce. Di fatto, il primo obiettivo strategico concepito alla base di questo progetto (in seguito modificato) voleva la possibilità di “effettuare prontamente bombardamenti strategici con tutti i mezzi possibili”. Oggi non è questo l’obiettivo della condivisione nucleare della Nato, ma ciò non toglie che dal punto di vista strategico la distribuzione degli ordigni è un vantaggio non indifferente.

La deterrenza nucleare resta comunque un obiettivo primario della Nato e in generale nelle politiche di difesa e sicurezza dei vari Stati, tanto che anche l’Unione europea promuove un impegno condiviso sul punto. Proprio nel mese di giugno 2025, l’Italia ha aderito formalmente all’Alleanza per il nucleare Ue, dopo aver tenuto il ruolo di osservatrice per ben 2 anni. Il gruppo di investimento è dedicato alla transizione energetica, ma rappresenta in ogni caso il superamento di un importante tabù per Roma.

Dove si trovano le bombe statunitensi in Italia

Tornando alle bombe nucleari americane in Italia, queste sono ospitate dalle basi aeree di Aviano e Ghedi. La prima è gestita completamente dagli Stati Uniti, mentre Ghedi è a comando condiviso Usa e Italia. La base di Aviano, in particolare, ha diversi ordigni B61, progettati per il trasporto con cacciabombardieri. A Ghedi si trovano invece ordigni destinati ai caccia Tornado italiani, per eventuali attacchi.

L’Italia è uno dei pochi Paesi a ospitare bombe statunitensi, per lo più per questioni di opportunità strategica. In questo modo lo Stato si pone come obiettivo a rischio in caso di conflitto, come si è fatto notare in questi giorni, ma garantisce al contempo la funzionalità della difesa Nato. Un ruolo di rilievo, che conferisce al contempo una certa protezione. L’uso degli ordigni è infatti possibile, seppur seguendo una rigida procedura. Nel dettaglio, occorre l’autorizzazione degli Stati Uniti, del Primo ministro del Regno Unito e del Gruppo di pianificazione nucleare (Npg). Un sistema apparentemente incoerente con il Trattato di non proliferazione, ma ritenuto importante per le politiche di sicurezza necessarie nel contesto globale.

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